Il genio e l’invidia
(da Quaderni Radicali n. 64/66 – giugno 1999)
Può accadere che la genialità di un uomo, quando venga
espressa in maniera non del tutto conformista o quando tenti di scardinare
irrimediabilmente tradizioni radicate nella società cosiddetta civile, si trovi
ad essere mortificata con violenza dalla schiera dei benpensanti conservatori.
Allo stesso modo, il possessore di tale genialità, laddove essa non sia
supportata da una forte identità (non s’intende identità sociale, ma - diciamo
così - personale) viene immancabilmente ostracizzato,
quando non incarcerato, torturato o bruciato vivo (si badi, oggi il senso delle
espressioni è - si spera - figurato).
A conferma di questa sconfortante tesi, chiameremo due libri, due storie,
due vicende umane...
Nell’agosto del 1949 uscì, sulla rivista «Europe-Amérique», un’intervista con Louis-Ferdinand
Céline, esiliato in Danimarca. Era firmata da Chambri, pseudonimo di Pierre Monnier, che sarebbe stato l’editore di Céline
per quell’anno e per il successivo. Intitolata “Da
quattro anni urlo, ripeto le stesse cose. Non riesco a farmi sentire”,
l’intervista si può leggere integralmente, insieme ad
altri notevoli colloqui con lo scrittore francese, in Céline. Polemiche (Ugo Guanda Editore).
Vogliamo riprenderne alcuni passaggi riguardanti la condizione di Céline in quegli anni...
Intanto,
l’introduzione di Chambri:
«Prostrato, ridotto in miseria, perduto in uno dei recessi più inospitali
della campagna danese, ma non vinto: così ho visto Louis-Ferdinand
Céline... L’auto viaggiò a lungo attraverso la landa aggirando
boschetti, costeggiando rovi in uno scenario da Re Lear prima di fermarsi a pochi metri
dal Baltico, davanti a una miserabile catapecchia col
tetto di paglia indicataci da un contadino, che accompagnò il suo gesto con
questa sola parola: Fransk,
il francese! La porta si socchiuse e lui apparve,
alto, robusto nonostante il cedimento delle spalle sotto il peso della malattia
contratta in carcere. È difficile immaginare alloggio più sconfortante di quel tugurio a pochi metri dalle acque nere del Baltico.
In cielo, grevi nuvole grigie correvano verso sud».
Poi le parole
rassegnate, sconsolate dello stesso Céline:
«Si preferisce lasciar circolare la leggenda di un Céline
‘collaborazionista’. Si preferisce lasciar ululare il
branco dei miei accusatori, ai quali talvolta sono mescolate persone in buona
fede che vengono rese complici di un crimine e che ci
si guarda bene dal fare ricredere. Il senso stesso dei miei
scritti viene radicalmente e perfidamente falsato. Di un monito, di un
avvertimento, si fa un’istigazione al delitto. Dio sa, però, che io accetto
tutte le critiche. Cento volte, mille volte ammetterò che mi si accusi di
follia, che si consideri aberrante il mio modo di giudicare, che si dica: ‘Ferdinand è tocco nel cervello, Ferdinand dice fesserie, si sbaglia di grosso, non è per
niente così’, che so? Ma perché
attribuirmi intenzioni ignobili quando è tutto chiaro, limpido, per chi vuol
ben guardare?».
Infine, di nuovo Chambri:
«Coloro che si oppongono a Céline sono
semplicemente degli scalmanati comunisti o altri che rappresentano soltanto
loro stessi, che non hanno mai letto una sola riga dei suoi libri, che non
sanno niente del suo caso. Sbraitano a più non posso perché Céline
ha fatto le prime rivelazioni su ciò che accade in Russia con Mea culpa e Bagatelle. Molto prima di Koestler, Gide e Kravcenko. Costoro, però, non vengono
bistrattati come Céline. Perché?
Perché lui ha genio!».
Lui ha genio! Così scriveva, cinquant’anni orsono, un non imparziale Pierre Monnier, addebitando a questa genialità le sventure di Céline...
Non sottoscriviamo in toto la tesi di Monnier
soltanto perché in fondo riteniamo che la fine di un genio debba essere comunque, ad ogni costo, più gloriosa. E che anche un
acerrimo nemico delle idee (il più delle volte, peraltro, un idiota) non debba
averla mai vinta contro la forza intellettuale, senza prima
essere quanto meno sbeffeggiato.
Forse c’è troppo ottimismo nell’immaginare un perseguitato che, dalla sua
miserabile condizione, riesca ad avere l’energia e
l’identità per fare pernacchie ai suoi nemici, invece di piangersi addosso. Ma
se parliamo di un genio l’ottimismo non dovrebbe
essere un azzardo...
Certo è che la durezza, la spietatezza di chi non vuole vedere, di chi
con un batter d’occhi (o di cervello?) tenta ostinatamente di cancellare le
idee ed i loro inventori, possono raggiungere un grado di intensità
tale da far crollare la speranza anche al più sano degli individui!
Forse la prossima volta riusciremo a trovare qualche eroe geniale che non
soccomba dinanzi a ciechi o indifferenti normali. Per adesso ci viene in mente
un’altra storia che finisce male; un altro genio che non ce la fa a sostenere
il peso della sua realizzazione... È Il
Dottor Semmelweis (Adelphi),
la cui vita e la cui opera furono raccontate proprio
da Céline...
Siamo ancora di fronte ad un uomo che urla inascoltato un’idea e che si
scontra con gente resa sorda da falsi problemi, da facili entusiasmi, partorita
da quelle madri di imbecilli sempre incinte...
Il caso Semmelweis è un’accusa che viene da
lontano, da un secolo di contraddizioni quale è
l’Ottocento; un’epoca “di convalescenza” ci dice Céline,
contrassegnata da importanti scoperte, ma da consequenziali, paradossali
regressi: nascita e morte trattate “come fossero la stessa cosa”, pressappochismo,
fatale superficialità, compenetrazione avventata tra i campi del sapere
(azzardiamo pure che alla fine del secolo precedente, insieme forse con
l’Enciclopedia, era nata quella disciplina così diffusa oggi che va sotto il
nome di “tuttologia”).
Un mondo impazzito per la sbornia di ideali di
fine Settecento è giunto malconcio fino a qui. Poi si trascinerà per un
centennio ancora, fino ad arrivare alle soglie del Novecento, quando
s’imbatterà nell’avvento della psicoanalisi di Freud
e derivati. Da questi impeccabili professori, il mondo sarà tutt’altro
che guarito, ma forse ancor di più imbavagliato e stretto in una camicia di
forza odiosa, reazionaria, fomentatrice di una rabbia repressa quasi senza
precedenti.
Ma questa è
un’altra storia; non eravamo alla fine del XVIII secolo?
Céline così sintetizza gli
ultimi sgoccioli del Settecento...
«E fu tutto una formidabile gara nella
carneficina. Si uccise dapprima in nome della Ragione, per dei principi che
dovevano ancora essere definiti. I migliori applicarono molto talento per unire
l’assassinio alla giustizia. Ci riuscirono male. Non ci riuscirono. Ma in fondo che importava? La folla voleva distruggere, e
tanto bastava. Come l’innamorato prima accarezza la
carne che desidera e si ripropone di indugiare nelle confessioni, poi suo
malgrado s’affretta... così l’Europa voleva affogare in una orribile orgia i
secoli che l’avevano educata. Lo voleva più in fretta ancora di quanto non
immaginasse».
... e così schernisce i primi dell’Ottocento:
«Il mondo voleva dimenticare. Dimenticò. E
Napoleone, che persisteva a vivere, fu rinchiuso in un’isola con un cancro. I
poeti riorganizzarono le loro coorti allarmate, mille carinerie furono dette in un giorno di primavera per
la voluttà delle anime sensibili. Si creava con lo stesso slancio insolente con
cui si era distrutto. Un soffio di tenerezza carezzò le tombe innumerevoli
[...]. Intorno a quell’epoca di convalescenza nacque
Ignazio Filippo Semmelweis [...]».
Per ritornare al nostro, Semmelweis si trova a
combattere in una società non solo resa cupa e cieca
dalla... luce della Ragione, ma anche pavida, per i troppi cambiamenti
violenti, per le troppe innovazioni imposte a suon di ghigliottina.
Il risultato delle sue ricerche, dei suoi studi, sarà - incredibile a dirsi
- la sua follia, la sua morte sopravvenuta in maniera atroce
nel dimenticatoio in cui è stato cacciato. I metodi di
quel dottore (semplicissimi quanto basilari) saranno ripescati e rivalutati
soltanto dopo la sua fine, come troppo spesso accade, quando la loro efficacia
non avrà potuto salvare tante vite spentesi prima.
Semmelweis indagò con
ostinazione le cause della febbre puerperale e scoprì che la malattia, come la
conseguente elevata mortalità delle partorienti, dipendevano
molto banalmente da un problema di scarsa igiene. Le visite alle puerpere,
infatti, venivano eseguite da medici che avevano
appena sezionato cadaveri e che “dimenticavano” di disinfettarsi le mani.
Niente di astronomico, dunque, ma...
«Supponiamo che oggi, allo stesso modo, venga un altro innocente che si
metta a guarire il cancro. Manco s’immagina che genere di musica gli farebbero subito ballare! Sarebbe veramente fenomenale! Ah! Meglio che sia avvertito. Che se ne
stia maledettamente bene in guardia! Ah! Sarebbe tanto di guadagnato se si
arruolasse immediatamente in una qualche Legione Straniera! Niente è gratuito
in questo basso mondo. Tutto si espia, il bene, come il male, si paga prima o poi. Il bene è molto più caro, per forza».
Oggi, forti tentazioni millenaristiche logorano
già da un po’ l’intelligenza e illusorie evasioni, proposte dalla
tanto acclamata new age, non fanno che indicare la falsa direzione di un buonismo ipocrita quanto astratto che non è sinonimo di
sanità mentale. Quest’ultima rappresenterebbe,
invece, l’unico presupposto veramente utile all’accettazione del “nuovo”.
Rileggere la storia di Semmelweis può almeno servire
a non avallare con un silenzio o con le parole coloro i quali
tentano di ricacciarci indietro o, meglio, di non farci muovere affatto.
La triste biografia del medico ungherese, che Céline
utilizzò come tesi di laurea, ci mostra da un lato la riuscita di uno
scienziato, mosso da un sano intento alla scoperta di una fondamentale verità,
dall’altro il fallimento di un uomo, spinto alla pazzia ed alla morte dagli
innumerevoli ostacoli che trova sul proprio cammino. A leggere le parole di Céline ci si rende bene conto del punto fino al quale si
possono spingere l’ottusità degli uomini e la loro burocratica cautela, quando si trovano di fronte un’intuizione che
non nasconda tornaconti personali o infondate fantasticherie...
Sarà pure facile lasciarsi suggestionare dalle cento assonanze che
esistono tra i destini di Céline e Semmelweis... Entrambi furono portatori di una qualche
scomoda genialità che tirò loro addosso l’ira funesta
di gente mediocre, entrambi fecero una malattia di questa incapacità di essere
compresi, entrambi crollarono di fronte ad un insostenibile attacco... per
tutti e due vale la formula che Céline adottò per il
suo alter ego: “sembra che la sua scoperta superasse le forze del suo genio”.
Fortunatamente, non accade sempre che l’ideatore si lasci uccidere
insieme alla sua idea... C’è pure chi riesce a resistere; a non impazzire, a
non morire.
L’abbiamo detto: la prossima volta troveremo qualcuno...
© Paolo Izzo
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