Ridare dignità ai sogni
Quello che segue è un mio scambio di vedute
con il filosofo Paolo Rossi, pubblicato il 12 ottobre 2003 sulla “Domenica” de
Il Sole24Ore, nella sezione Fermoposta. Subito dopo potete leggere la
recensione di Paolo Rossi, cui l’autore ed io ci riferiamo
(ndA).
Egregio Paolo Rossi,
dal momento che Lei accenna alle
“timide riserve” concesse ai “non specialisti”, mi permetto di proporLe un
punto di vista intorno al Suo commento del libro di Luciana Repici
e non, come sarebbe più ovvio, intorno al libro stesso. Anzi, Le dirò di più:
non leggerò il saggio in questione soprattutto perché è stato Lei, Suo
malgrado(?), a sconsigliarmelo.
Innanzitutto
per parlare di sogni non ha utilizzato mai la parola
“inconscio”, ripiegando su un’anima… buona per tutte le stagioni! Delle
due l’una: o questo semplice termine non è proprio presente nel testo di Repici oppure Lei non si è lasciato andare abbastanza,
rimanendo su un piano tutto razionale (il che, per l’onirico, non va bene).
Secondo, non
mi ha mai sedotto l’idea di Platone circa l’invio dei sogni da parte di un dio,
né quella di Aristotele per cui sarebbero “demonici” gli influssi che inducono
a sognare: le considerazioni a proposito degli animali essendo ancor più
fuorvianti dal momento che nessun animale ha mai dichiarato di aver fatto un
sogno! Non mi lascio ingannare dal Suo riferimento alla pratica
dell’incubazione per colmare “la distanza che ci separa dal mondo antico”, né
mi intimidisce l’accenno all’immancabile Freud e a
come egli sia rimasto affascinato dall’affermazione di una sostanza demonica
della natura: che cosa aspettarsi da uno che considerava il neonato come un
perverso e l’inconscio come un mondo inconoscibile?
In ultimo,
non riesco a concordare con chi alluda ai sogni come a qualcosa
di dipendente dal caso, ossia da cause accidentali e indeterminate”, lasciando
credere che causale è uguale a casuale…
Credo,
piuttosto, che lo studio della psiche umana non abbia fatto e non faccia grandi
passi proprio perché si porta dietro questi concetti vetusti e astrusi (che Freud in primis ha avallato e enfatizzato)!
Fino a quando
si parlerà dei sogni come qualcosa che arriva dall’ultraterreno; fino a quando
l’inconscio rimarrà uno strumento perverso nelle mani di una natura demonica,
preda di visioni, divinazioni e cause accidentali; fino a quando si preferirà
credere che i sogni siano buoni soltanto per giocare i numeri al lotto, allora
la psichiatria rimarrà nelle sabbie mobili dell’impotenza.
Per contro,
preferisco stare con chi considera i sogni come immagini che nascono
nell’inconscio - prerogativa dell’essere umano - e che sono il frutto dei
rapporti interumani.
Paolo Izzo
Egregio Paolo
Izzo, la ringrazio molto per il suo intervento e le dico subito che sono del
tutto d’accordo con la preferenza che lei esprime al termine della sua lettera.
La sua scelta finale è anche la mia. Tra la convinzione che i sogni arrivino
dall’al di là e servano per giocare al lotto e, all’opposto, la convinzione che
si tratti di immagini che nascono nell’inconscio, anch’io non ho dubbi e
decisamente e senza tentennamenti “preferisco stare” con coloro che sostengono quest’ultima tesi. Sia detto fra parentesi: avrei qualche
dubbio solo sull’espressione finale «e che sono il frutto dei rapporti
interumani». Non credo infatti che allo stato attuale delle nostre conoscenze
sui sogni si possa senz’altro affermare che quelle immagini siano sempre e
comunque espressione o frutto di quei rapporti.
Sul resto
della sua lettera cercherò di esporre il mio punto di vista. In primo luogo mi
dispiace di aver distolto qualcuno dalla lettura di Aristotele. Perché il libro
di cui ho parlato sul Sole-24 Ore è stato scritto da Aristotele e non da
Luciana Repici che lo ha tradotto, annotato e
introdotto. Lei mi critica per non aver mai usato la parola inconscio e per
aver «ripiegato» sul termine anima. Quando ho usato questa parola, l’ho fatto
in un contesto che diceva: «Platone pensa che nel sonno l’anima percepisce cose
che non sapeva prima eccetera». Perché mai avrei dovuto usare il termine
inconscio per dire che cosa pensava Platone? La nozione di inconscio si
affaccia nella storia della filosofia a partire da Leibniz
e diventa esplicita con Schelling e i filosofi e gli
scienziati del Romanticismo. Fra Platone e Leibniz
intercorrono venti secoli ovvero duemila anni. Credo che molte delle sue
impressioni negative nascano da un equivoco che dipende (sono senz’altro
disposto a riconoscerlo) da insufficiente chiarezza da parte mia.
Debbo
tuttavia correggere un punto: non ho mai parlato della pratica dell’incubazione
«per colmare la distanza che ci separa dal mondo antico». Al contrario. Ho
infatti scritto che, se pensiamo a quella pratica, «giungiamo a percepire la
incolmabile distanza che ci separa dal mondo antico». Tutta la prima parte
della mia recensione non parlava del testo curato da Luciana Repici, ma era precisamente diretta a chiarire questo
punto. Voleva servire a dare a un lettore non specialista in psicologia o in
storia antica, il senso di una distanza. Chiarivo che nel nostro passato
(nonché in molte altre civiltà) i sogni sono stati interpretati non come fatti
privati o espressioni di una coscienza singola, ma come racconti che contengono
verità o previsioni. Per questo avevo accennato a Ernesto De Martino (un autore
di cui Repici non parla) e alla sua definizione della
nostra civiltà come una «civiltà della veglia». Tra i padri fondatori della
civiltà della veglia va annoverato proprio Freud (sul
quale, probabilmente, abbiamo idee molto diverse). Freud
scrisse: «Il sogno è un prodotto psichico assolutamente asociale; non ha niente
da comunicare ad altri; sorto all’interno di una persona come compromesso tra
le forze psichiche che vi si combattono, resta incomprensibile anche a questa
persona e pertanto è privo di qualsiasi interesse per gli altri».
Un conto è
leggere un nostro contemporaneo e un altro conto è leggere un testo del
passato. Quando leggiamo Platone o Aristotele o un altro classico dobbiamo
sapere in anticipo che vi troveremo affermazioni molto distanti dal nostro modo
di pensare e anche affermazioni che ci colpiranno per la loro inattesa
attualità. La storia nasce dalla curiosità di sapere da dove vengono le cose
che pensiamo e di capire che molte cose pensate sono state poi abbandonate.
Serve a dare, insieme, il senso della distanza e della vicinanza. Come aveva capito
molto bene René Descartes
assomiglia molto al viaggiare in un Paese straniero. Ma viaggiare non è
obbligatorio e si può egregiamente vivere anche senza aver mai letto un testo
di Platone o di Aristotele.
Paolo Rossi
STORIA DELLE IDEE /
Quando i sogni erano veri
di Paolo Rossi
“Domenica” de Il Sole
24 Ore – 28 settembre 2003
Quando, nel sogno di
Penelope, l’aquila (che è il simbolo di Ulisse) piomba sulle oche (che sono il
simbolo dei Proci) e le stermina, è indubbio che né l’autore di quei versi, né
il lettore facevano riferimento a processi soggettivi presenti nella mente di
Penelope. La nostra, diceva Ernesto De Martino, è una civiltà della veglia.
Siamo così fortemente abituati a pensare al sogno come espressione di una
coscienza singola, a considerare i sogni un fatto privato che facciamo fatica a
renderci conto del fatto che non solo il sogno di Penelope, ma innumerevoli
altri sogni, in un passato non troppo lontano e all’interno di una
straordinaria pluralità di culture, furono concepiti come racconti che
contengono verità o attendibili previsioni di eventi futuri. I sogni, come è
scritto nel settimo dell’Eneide consentono di entrare a colloquio con
gli dèi e di interrogare Acheronte nel profondo Averno.
Giungiamo a percepire
la incolmabile distanza che ci separa dal mondo antico se pensiamo alla pratica
della incubazione che ha remotissime origini e si diffuse in Grecia a partire
dalla fine del quinto secolo. Consisteva nel sottoporsi a pratiche di
purificazione per poi addormentarsi in un recinto sacro destinato a questo
scopo, nell’attesa di essere visitati in sogno dal dio o dall’essere
sovrannaturale legato al luogo prescelto.
Platone pensa che nel
sonno l’anima percepisce cose che non sapeva prima, sia nel passato e nel
presente, sia nell’avvenire. Riconduce le immagini dei sogni ad apparenze
prodotte dalla divinità, crede che i sogni abbiano valore profetico e
divinatorio. Come lucidamente spiega Luciana Repici
nella Introduzione, Aristotele adotta invece un modello meccanico di tipo democriteo e si distacca con forza da queste posizioni. C’è
un passo, nel testo intitolato La divinazione durante il sonno del quale
molti hanno sottolineato la “modernità”. Dato che anche gli animali sognano,
scrive Aristotele, i sogni non possono essere inviati dalla divinità. Uomini
del tutto semplici sono capaci di previsioni, non perché la divinità ha inviato
loro dei sogni, ma perché tutti coloro che hanno natura ciarliera e melancolica hanno una grandissima quantità di visioni. Per
questo, così come capita di imbroccarla a coloro che giocano a pari e dispari,
hanno, ogni tanto, visioni che corrispondono agli eventi reali. I sogni non
sono mandati da un dio, ma - afferma Aristotele in quelle stesse righe (e
l’affermazione piacque molto a Freud) - «sono
tuttavia demonici, perché la natura è demonica, non certo divina».
Repici ritiene che
“demonici” significhi «dipendenti dal caso, ossia da cause accidentali e
indeterminate». Se anche ai non specialisti è concesso di avanzare timide
riserve, ho l’impressione che in questo caso si vogliano troppo rapidamente
eliminare ambiguità. In uno dei testi qui contenuti Aristotele afferma che
sugli specchi molto lucidi si produce una macchia rossastra quando vi gettano
sopra lo sguardo donne nei giorni delle mestruazioni. Ma Repici
conosce molto bene i testi e conclude una delle due preziose appendici con
questa affermazione: «dalla tradizione emerge un Aristotele dai molteplici
volti, che pone problemi non indifferenti a chi voglia tentare di ridurne le
diverse immagini a unità». In questa edizione, che ha il testo a fronte,
Luciana Repici ha accuratamente tradotto e ampiamente
commentato altri due testi di Aristotele: Il sonno e la veglia, I
sogni. Il tutto seguito da un’ottima bibliografia. Un’impresa meritoria. (Aristotele,
Il sonno e i sogni, a cura di Luciana Repici,
Marsilio)
(12/10/03)© Paolo Izzo
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