Senza Titolo
Pubblicato nel catalogo del pittore Alessio Ancillai
“Suoni e silenzi – tempo interno” [Sermoneta – LT,
24.06-28.07 2007]
e presentato a Sermoneta il 13 luglio 2007.
Liberamente
ispirato alle opere di Ancillai esposte nella mostra, il testo ne contiene
anche i titoli [evidenziati in blu] a cominciare dal… titolo.
Lasciare
tracce di sé, della propria esistenza. Nel proprio territorio. Una prerogativa
dei viventi.
Lo fa il
gatto, con la coda dritta e tremula; le pupille ridotte a due fessure
verticali. Lo fa il lupo, nella notte; e subito dopo si mette a ululare contro la luna che invade i suoi spazi di luce. Anche l’antilope, involontariamente, lascia tracce della sua
presenza. E la leonessa, placida madre che allatta i
suoi cuccioli, lo sa bene: annusando l’aria, diventa madre cacciatrice
e scova la sua preda e nello stesso istante impara a mettersi sottovento, per
non essere scoperta a sua volta.
Lasciano
tracce di sé, i viventi. Silenziosamente. E, per farlo, hanno quasi
sempre un motivo. Una ragione. Quel “quasi” sono gli esseri umani, che
spesso un motivo non hanno. Né una ragione.
Primo
movimento
Quando te ne vai, mi resta un profumo che è come un segugio, perché viene con me
in ogni stanza o forse sono io che vado a cercarlo negli anfratti come un cane
da tartufo.
Percorro
le tue linee di fuga con lo sguardo e risento i tuoi passi prima scalzi, con il suono
dei talloni che schiacciano invisibili sbuffi d’aria; poi è la musica
inimitabile dei tacchi che trafiggono il parquet, quando la separazione si
avvicina e tu, già concentrata sul mondo esterno, cerchi comunque
un abbellimento del tuo addio.
Rimango
qui, percorso da suoni e silenzi della tua presenza recente. Già sazio della
mia solitudine. Scrivendo la tua voce suono; suonando il mio silenzio nuovo.
Secondo
movimento
Ma è un’altra ancòra, la traccia che lasci
di te, o hai lasciato, nella prima partitura di questa storia. È
un’immagine invisibile, che viene di notte o nella penombra della ragione. Parlandomi tra i rami, come un fruscìo o sul pelo
dell’acqua, come brezza improvvisa. Se provo a
inciderla sul foglio e sulla tela è mia, ma sei tu. Se
resta impigliata nella rètina è un riflesso di te, ma sono io. Questa è la
traccia che lasci o hai lasciato; o forse era già lì, qui dentro. Una volta
l’ho chiamata risonanza, perché prima non sapevo di avere quella nota nel petto, ma
quando sei arrivata nottetempo ti è bastato sfiorare tre tasti per
cogliere un mio accordo inedito. E segreto.
Pausa
Scivolando
in un’alba rossa, abbiamo punteggiato il pentagramma del nostro tempo
interno. Gocce dorate, graffi ocra come un segno danza, hanno
costellato la memoria d’un cielo arrivato, chissà,
dalla finestra aperta. Le mani intreccio di vimini
sostenevano la leggerezza dei respiri unisoni. Le bocche dense di colori
irrigavano adagio impervie risalite rosa. Verso la foce di un linguaggio antico…
Prima dell’ultimo suono sorriso, un miscuglio salato ha velato i tuoi occhi
ansanti. E i miei.
Movimento
silente
Quando le mie vertebre non saranno più i tasti del
tuo pianoforte.
Quando le ombre che saettavano sul muro torneranno
ad essere un profilo immobile.
Quando le parole incresperanno il giorno calmo,
riempiendo il tempo lungo, dopo il silenzio.
Quando le voci e le vite degli altri prenderanno il
posto della nostra intravisione sonora.
Allora,
potrai lasciarmi.
Con le tue
tracce seguirò un’idea sulla tela o racconterò il presente con lacrime
d’inchiostro.
Tu, con le
mie, fa’ quel che vuoi, ma conservale per sempre.
Luglio 2007 © Paolo Izzo
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