Fuori dalla
favola: Lewis Carroll e
Intervista a Gianna Sarra
In molti
forse sanno che Charles Dodgson
era il vero nome di Lewis Carroll,
l’autore di “Alice nel paese delle meraviglie”. È meno risaputo, invece, il
fatto che una piccola musa ispiratrice della favola sia esistita nella realtà:
si chiamava Alice Liddell.
Dello strano,
ai limiti del morboso, rapporto che si instaurò tra i
due ci parla la poetessa e scrittrice Gianna Sarra
nel suo “Il collezionista e la farfalla”, edito da Nutrimenti, una sorta di
autobiografia di quella Lolita ante litteram che fu
La Sarra non è nuova a queste “candide” dissacrazioni: due
anni fa, nel suo volumetto intitolato “La sindrome di Eloisa” (sempre Nutrimenti), raccoglieva e analizzava una
serie di lettere d’amore scritte da personaggi importanti della cultura. Tra
queste fecero scalpore le missive che Sigmund Freud aveva inviato a due suoi “amori” maschili.
Adesso è la
volta di Lewis Carroll:
sempre con stile avvincente e delicatezza quasi ingenua, Gianna Sarra dà voce alla piccola Alice, seguendola e
immaginandola per tutto il corso della sua esistenza. E
mostrandoci un Dodgson-Carroll diverso dal fine e
malinconico poeta che la storia ci ha consegnato.
Signora Sarra, Alice è la bambina che vuole entrare nel mondo dei
grandi, al contrario dei piccoli eroi di altre favole.
Nel suo libro, in una divagazione tra sogno e realtà, li fa incontrare un po’
tutti, per sottolineare questa differenza…
«Sì, il sogno di cui parla lei è proprio fuori dal
tempo: Peter Pan era contemporaneo, Pippi Calzelunghe e Pinocchio
sono venuti dopo… Voleva essere un modo per far sentire la particolare
singolarità della figura di Alice che è una bambina ragionevole e che degli
altri dice: “eh, una ciurma di piagnucoloni!”. In effetti, la novità di Alice è di non essere patetica; mentre Charles Dickens faceva i suoi Oliver Twist e David Copperfield,
che pur rispecchiavano la realtà sociale dell’infanzia dell’epoca, Carroll tirava fuori una protagonista femmina, già cosa
nuova, e vincente, o che perlomeno non sembra farsi confondere dalle realtà che
incontra».
Una
proiezione di Carroll oppure lei pensa che
«Se si osservano bene le foto di Alice Liddell, si vede questo sguardo molto consapevole. C’è un
passo del libro in cui metto a confronto una foto di lei
a quattro anni con una in cui ne aveva ottanta: c’è la stessa espressione di
ironica appartenenza a se stessa e di una certa fermezza di carattere…
Ovviamente il poeta ha poi creato, inventato, però lei a buon diritto è stata
la sua musa: la musa non è il ricalco di un personaggio, la musa è
l’ispirazione. Credo che certi caratteri salienti di questa musa si siano
conservati nel tempo».
Lei sottolinea molto la ragionevolezza, la fermezza del
personaggio di Alice, diciamo cioè il dominio delle passioni attraverso la
ragione…
«Non dimentichiamoci che Dodgson era un
matematico di professione…»
Nel suo libro
un sospetto sulla pedofilia di Dodgson-Carroll
aleggia costantemente… Quei casti bacetti e le varie
foto di Alice seminuda che lei menziona indicano
quantomeno un rapporto squilibrato.
«Nel capitolo intitolato “L’ultimo ritratto”, che è l’unico un po’ di
fantasia, mi sono inventata il loro incontro a coronamento di un’attesa di vent’anni! Ora che mi ci fa pensare,
credo di averlo messo proprio per colmare lo squilibrio che c’era tra i due.
Comunque, ci sono anche molte testimonianze che dicono
che da una certa età in poi lui si staccò da questa passione morbosa (non ci
dimentichiamo che Alice fu soltanto una delle amichette di Carroll,
anche se la prediletta) e cominciò a frequentare donne grandi, addirittura
signore sposate o le mamme di bambine che prima frequentava da sole e pare che
insomma abbia raggiunto un livello di maturità sessuale abbastanza normale! Deve
pensare che all’epoca le facevano sposare a dieci anni
oppure le “fermavano” come quando si va in un negozio. La bambina ha dieci
anni? A quattordici anni il fidanzamento ufficiale e a diciassette me la sposo!
Era normale… Per la legislazione vigente in epoca vittoriana l’età nubile
minima per le fanciulle era di dieci anni, poi fu
aumentata a tredici e infine a sedici. Quindi è verosimile che Dodgson abbia chiesto la mano della piccola Liddell quando lei aveva undici, dodici anni: io l’ho messa
un po’ vaga, perché pare documentato soltanto da ricordi di discendenti di Alice e l’unica a parlarne è
Una musa
troppo piccola…
«Sì, ma c’è un’altra cosa, importantissima: fu lei a costringerlo a
mettere per iscritto la favola! Mentre lui prima
raccontava soltanto oralmente, elaborava, manipolava queste favole da
brogliacci già esistenti o le inventava e basta, fu Alice a dirgli: “No, me la
devi scrivere!”. E quindi lui fece il manoscritto con
i disegni autografi e tutto il resto: che poi è costato l’iradiddio
quando lei l’ha voluto vendere; pensi che con il ricavato ha restaurato la
villa, vendendolo a più di quindicimila sterline dell’epoca! In un certo senso
lei lo ha indotto a tirar fuori lo scrittore, mentre lui si considerava
semplicemente un professore, un matematico: tant’è
vero che rifiutava la posta che gli veniva spedita
all’indirizzo del college con il nome Lewis Carroll e la accettava soltanto recapitata al suo editore;
pensi che dissociazione! Comunque lo dice: “solo per
amore, per fare piacere a una bambina che amavo” mise su carta la storia di
Alice. Per questo, in senso molto tecnico, io la chiamo musa».
Una pedofilia
“sublimata”, allora. E forse proprio in virtù del
carattere forte della vera Alice…
«Provo a dirlo nell’ultimo capitolo. Sognando al futuro Lolita, Alice
grida “No, no! Io sono lei, lei è me” (p. 100). Cioè in fondo, nell’inconscio, oltre a ricevere un grande
elogio sotto forma di attenzione, premura, educazione, pedagogia, lei ha
ricevuto anche, dal mio punto di vista moderno, una ferita! Perché
se vogliamo Lolita è Alice all’ennesima potenza, è Alice contemporanea: quello
che poteva accadere ai primi del Novecento e che non è accaduto a metà
dell’Ottocento. Se vuole, il mio è un modo di fornire l’insolito punto di vista
della fanciulla che non è violentata a livello fisico,
è educata a livello mentale, conserva gratitudine e una certa tenerezza per
alcuni ricordi dell’infanzia, è comunque coprotagonista
di una storia, anche se può essere una storia al limite tra l’amore e
In
conclusione, rispolverando una vecchia parola, si deve ipotizzare che Carroll plagiò Alice Liddell e le altre fanciulle?
«Certo. E lì, infatti, si qualifica anche il
discorso di pedofilia. Ma non possiamo dire che in ogni rapporto di amore, di lavoro, di famiglia in cui ci sia squilibrio
c’è violenza? La pedofilia è uno degli aspetti di questa violenza. Nel mio
libro precedente esaminavo il rapporto tra Jung e
Sabine Spielrein: lì c’erano una ragazza di
diciannove anni e un professore di trentacinque, un medico, e tra i due si
creava un rapporto di potere molto squilibrato. Perché
lei era malata, lui era dottore, lui era più colto, istruito, adulto. Lei si “innamora”, ma fino a che punto? Siamo sempre lì».
(Nuova Agenzia
Radicale, 11/11/06)©
Paolo Izzo
Torna a Interviste