SACCHETTO
(Pubblicato su «Storie» nel febbraio 1997)
«Nguee».
Maria l’ha fatta
grossa, stavolta. Sua madre la guaterebbe con occhi di brace.
«E questo cos’è?»
direbbe.
«Mamma, non
lo so... ti giuro mamma... il Signore mi prenda subito
se lo so... mamma!» risponderebbe Maria.
Ma la mamma di Maria
non c’è. È solo un incubo, per adesso. È solo un’assenza terribile.
«Nguee».
Urlano. Tutte
e due. Maria e la figlia. Nemmeno lo sa Maria che è una femmina; non l’ha
guardata. Si strappa i capelli, Maria. Involontariamente: si strofina le
tempie, si mescola il sudore delle mani della fronte del
cuore.
Soltanto un
istante fa, Maria soffriva gli atroci dolori della
vita. Adesso è lo stesso, ma senza dolori. O senza
vita.
«Nguee».
«Mamma che
faccio? Mamma!» grida Maria.
Nascondilo,
buttalo, non lo voglio vedere. Ecco cosa direbbe sua madre.
E schifosa, sciagurata, Dio ti perdoni; ecco cosa
direbbe.
Ma la madre di
Maria non c’è.
«Nguee».
Piangono
senza lacrime. Tutte e due. Maria e la figlia. Sanguinano. Ce n’è dappertutto,
di quel sangue bruno. Odioso come uno dei tanti parenti. Troppi. Chiacchieroni
maledetti.
Maria
quasi sviene. Ma prende un sacchetto. È
l’unica cosa da fare.
«Nguee».
«Sta’ zitto zitto zitto».
Non c’è
silenzio. Nemmeno l’ombra.
Chiuso. “Chiusa” sarebbe più corretto. Adesso
è invisibile, ma tale e quale. Sospira, Maria.
«Andiamo,
Maria. Muoviti maledetta» si dice. Aggiunge lacrime senza bagnarsi le guance.
«Mamma,
mamma, mamma. Dove sei?».
«Nguee».
Scendono in
strada. Tutte e due. Maria e la figlia. Corre a perdifiato, Maria col
sacchetto. Il buio dei bambini. Quello dei sogni. Quello della paura. Il
sacchetto nero. Nel nero della notte. Nel sacchetto, la notte.
«Nguee».
Sudore,
sangue. Impensabile e ancora più vero. No, non è possibile! Sì, è proprio
quello che sembra. Ma non c’è premeditazione, non c’è
volontà, non c’è cervello. Non c’è la madre di Maria. Non c’è niente... Niente?
«Nguee».
«Lo lascio
qui» sussurra Maria.
«Dio ti
perdoni» direbbe sua madre.
Sola. La
figlia di Maria è sola. Sacchetto nero in un recipiente verde. Divieto di sosta.
Puzza d’asfalto e di spazzatura. Scatole vuote di corn flakes: cibo per bambini che
possono crescere. Lattine, verdure, cartacce. Una sedia a sdraio e
sacchetti. Mille sacchetti a tenerle compagnia. Sacchetti pieni come lei.
Maria, la madre, e la madre di Maria sono ricordi lontani. Sola.
«Nguee».
«Miao?».
E silenzio.
Finalmente. La pace dei bambini. È padrona dei suoni, la figlia del cielo. È la
vergogna del sacchetto, che inorridisce, senza saperlo. E
piange. E si danna per sempre, il sacchetto. Senza
saperlo.
Arrivano. Ecco gli uomini fosforescenti, quelli con le tute di un altro
pianeta, che è lo stesso ingrato pianeta. Gridano,
cercano di coprire il frastuono del camion. Fine del silenzio.
«Nguee».
«Sergio,
che starà facendo tua moglie stasera, eh?».
«Nguee».
«Sta in
società con la tua!».
«A
Sergio, che te sei offeso?».
«Nguee».
«Miao».
«Oh, guarda
’sto gatto quant’è brutto, Sergio».
«Te
somiglia».
«Nguee».
«Vattene
micio! Sennò te famo a
polpette».
«Nguee».
«Franco,
piglia quella sedia. È rotta?».
«No è solo sporca. La lavamo».
«Nguee».
L’ultimo
cassonetto da svuotare. Poi a casa. Franco e Sergio e Romeo che guida.
«Nguee».
Finito. Si
torna a casa. Hanno salvato un gatto, rimediato una sedia a sdraio, guadagnato
una miseria.
E fatto
polpette di rifiuti.
© Paolo Izzo
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