Il comunismo
che non si è ancora visto
(Elsa Morante, “Piccolo Manifesto dei comunisti (senza classe né
partito), nottetempo 2004)
L’agenda è piena di idee; gli stimoli sovrabbondano e la penna è pronta a
raccoglierli per incidere nomi e parole sul biancore illibato del foglio.
Quando, sotto la lampada gialla della scrivania, compare un libricino rosso e nero,
piccolo e grande, antico ma presente. Si chiama appunto “Piccolo Manifesto dei
Comunisti (senza classe né partito)”. Sono poche pagine di Elsa Morante, che
Nottetempo pubblica nella collana “i sassi”. La scrittrice, parafrasando il
Manifesto di Marx e Engels, cominciava così:
«1. Un mostro percorre il mondo: la falsa rivoluzione.
«2. La specie umana si distingue da quelle degli altri viventi per due
qualità precipue. L’una costituisce il disonore dell’uomo; l’altra, l’onore
dell’uomo.
«3. Il disonore dell’uomo è il ‘Potere’. Il
quale si configura immediatamente nella società umana, universalmente e da
sempre fondata e fissa sul binomio: ‘padroni e servi’
– ‘sfruttati e sfruttatori’.
«4. L’onore dell’uomo è ‘la libertà dello spirito’.
E non occorrerebbe precisare che qui la parola ‘spirito’
(non foss’altro che sulla base delle scienze attuali)
non significa quell’ente metafisico-etereo
(e alquanto sospetto) inteso dagli “spiritualisti” e dalle comari, ma anzi la
realtà integra, propria e naturale dell’uomo […]».
Si potrebbe continuare fino al tredicesimo punto di questa folgorante
testimonianza, senza mai pentirsi di trascrivere simili dichiarazioni né di
aver trascurato, per farlo, le idee appuntate nell’agenda di cui sopra. Perché
il Manifesto di Elsa Morante vale come se fosse stato scritto per ieri, per
oggi e per domani…
Ma si farebbe un torto al coraggio e alla bravura di quelli di Nottetempo
e si toglierebbe il gusto di impossessarsi di questo volumetto
con la copertina rossa e nera.
Già pubblicato in «Linea d’ombra» nel 1988, il Manifesto risale al 1970 o
giù di lì, come precisa Goffredo Fofi in una nota
conclusiva. Ed è Fofi stesso ad ammettere la svista
sua e degli altri quando in quell’anno arrivavano le
parole lungimiranti della Morante: che, inascoltate, avvertivano dei germi che
avrebbero ammalato la cosiddetta rivoluzione comunista.
Oggi potremmo aggiungere che la rivoluzione fallì per la totale assenza
di una qualsiasi ricerca sull’inconscio, senza la quale la “libertà dello spirito”
è destinata a soccombere; si può dire che, come la Storia ci ha insegnato,
quasi tutte le rivoluzioni sono fallite per lo stesso motivo, per aver voluto
cioè consacrare l’esito dello scontro sull’altare della dea Ragione.
Ma dal ’68 in poi, l’euforia e una certa ideologia astratta tendevano
trappole consistenti e illusorie, per rendersi conto del pericolo cui si andava
incontro. Elsa Morante metteva sull’avviso: se il cosiddetto “movimento” avesse
rinunciato alla propria rigidità per dare ascolto a quanti come lei prevedevano
il fallimento, ci saremmo probabilmente risparmiati gli anni di piombo, la
lotta armata, etc. (non è un caso che al Manifesto segua una lettera della
stessa Morante alle Brigate Rosse, ma questo è un altro capitolo ancora). Ci troveremmo
a vivere in una realtà forse più sana e sicuramente più orientata verso la
considerazione delle esigenze psichiche, piuttosto che sulla mera soddisfazione
dei bisogni materiali (cosa che, tra l’altro, continua a essere retaggio di
pochi). È la libertà dello spirito di cui parla Morante (e aggiungiamo noi, la
sanità mentale), il bene che primariamente dovrebbe essere accessibile a tutti.
E forse a questa cosa si potrebbe dare quel nome antico, poiché ne è cambiato
il senso: comunismo, appunto.
(Anteprima da
Quaderni Radicali, 07/08/04)© Paolo Izzo
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