Quei piccoli delitti familiari

Intervista a Luigi Bernardi

 

Vengono chiamati “delitti di prossimità”, accadono di continuo, più vicino a ciascuno di noi di quanto si possa pensare e forse stanno subendo un drammatico incremento. Sono quei crimini che si consumano all’interno di piccoli nuclei sociali come coppie, famiglie, condomini o magari soltanto perché una vittima e il suo assassino - entrambi in qualche modo inconsapevoli - si trovano “in prossimità”, appunto, nel momento peggiore della loro vita.

Il giornalista e scrittore Luigi Bernardi ne ha raccolti una ventina nel suo “Il male stanco. Alcuni omicidi quotidiani e quello che ci dicono”, appena uscito per i tipi dell’Editrice Zona (pp. 160 - € 16,00). Ce ne sono di famigerati e di meno conosciuti, ma tutti risuonano come già letti, magari perché una volta, distrattamente, li abbiamo trovati tra le brevi di cronaca del quotidiano e ci hanno impressionato per l’efferatezza o per la stolidità del gesto. Una cosa è certa: messi così, uno in fila all’altro, tracciano una sequenza davvero inquietante, da far venire i brividi. Desirée Piovanelli, Giovanni Erra, Maria Rosaria Sessa, Alenja Bortolotto, Andrea Calderini sono nomi che ricordiamo oggi e che forse domani ci diranno qualcosa, ma non sapremo a quale vicenda ricondurli. Magari ricorderemo più a lungo i nomi delle cittadine in cui la terribile vicenda si è consumata: Leno, Chieri (per non parlare di Cogne e Novi Ligure, che Bernardi preferisce non ri-raccontare) o addirittura Mariano Comense, dove in meno di quattro anni si sono consumati almeno otto delitti cosiddetti d’impeto… Filo conduttore di nomi e fatti, questo male stanco, questa indolente fatuità nel commettere un omicidio: per finire una storia d’amore o per cercare di mantenerla in piedi, per risolvere una bega condominiale o per vendicare un furto di pomodori. Prima ancora della giustizia dovrebbe essere la psichiatria e cercare di risolvere perché persone apparentemente normali possano trasformarsi in feroci assassini!

Bernardi non è nuovo a questo tipo di racconto, a metà tra narrativa e reportage: per Zona come per DeriveApprodi, ha più volte analizzato gli episodi della cronaca nera cercando di capire, di andare a fondo; non fermandosi all’agghiacciante momento del delitto finale, ma risalendo agli attori di quel delitto, alle loro storie prima che la tragedia spezzasse le loro vite irrimediabilmente. Il suo è una sorta di destino, come racconta nella premessa de “Il male stanco”, quasi una condanna: “Le coincidenze sono impressionanti, percorsi segreti che sembrano tracciati solo per noi, quando poi si tratta di morti, la sensazione è ancora più definita, confina con la premonizione, o qualcosa del genere”. Per destino o per professione, Bernardi è oggi uno dei maggiori conoscitori del mondo del crimine. Gli abbiamo rivolto alcune domande. 

 

Bernardi, ci spiega perché “il male è stanco e il bene è addirittura esausto”, come scrive nella premessa al suo nuovo libro?

 

Il male è stanco perché non rappresenta più una risorsa, negativa fin che si vuole, ma pur sempre una risorsa per avanzare nella vita. È una resa, la spiaggia della capitolazione. Il bene, invece, ha perduto la sua moralità fatta di scelte e di quotidianità. È l’icona stereotipata di un angelo alla quale si ricorre quando vengono a mancare la ragione e le parole per dirla.

 

Leggendo la terribile sequenza di omicidi che lei descrive e commenta, mi è venuto da pensare che sia necessario utilizzare anche un altro binomio, forse ancor più difficile da indagare: quello che vede contrapposte la malattia mentale e la sanità. Lei stesso si chiede se, di fronte ai delitti di prossimità, “le ragioni della psichiatria rimangono tali quando vengono applicate per via forense”. È una richiesta di soccorso alla psichiatria oppure ritiene che delitti così assurdi possano essere imputati soltanto alla “cattiveria” umana o, al più, a un crescente disagio sociale?

 

La malattia mentale, che io chiamerei disagio psichico, è una delle grandi sfide della nostra contemporaneità. Sia perché in fortissimo aumento, sia perché si manifesta attraverso forme sempre nuove, che gli stessi psichiatri fanno fatica a catalogare. Il disagio psichico va riconosciuto, e non è sempre facile, e va curato, e a volte è ancora più difficile. Non abbiamo a che fare con persone che secondo una prassi consolidata potremmo definire “matti”, ci troviamo di fronte a persone che non stanno bene e spesso non se ne rendono neppure conto. È l’ultima e più terribile delle malattie sociali: è prodotta dalla caoticità della nostra stessa esistenza, si nutre del disagio che provoca, è sempre più difficile da fermare. Di certo, non è possibile, né plausibile, cercare di affrontarla con ipotesi repressive. Forse, più semplicemente, bisognerà imparare a conviverci.

 

Lei è autore tra l’altro di un romanzo intitolato “Vittima facile”, uscito l’anno scorso per Zona. Lì le vittime erano molteplici: ovviamente la ragazza rapita, ma anche i suoi sprovveduti aguzzini non erano messi meglio. Si trattava del primo romanzo di una trilogia. A quando il secondo episodio? Ci può anticipare il tema che affronterà questa volta?

 

Il secondo episodio si intitolerà “Rosa piccola” e uscirà a marzo. È una storia che si svolge durante tutta una notte, a Bologna. I protagonisti sono cinque venditori di strada alle prese, ognuno per conto proprio, con un’occasione da acchiappare al volo, di quelle che possono cambiare la vita. Le cinque storie finiranno con l’intrecciarsi e, all’alba, per i cinque niente sarà più davvero come prima. Fra di loro c’è Chiara, fresca reduce degli avvenimenti raccontati in “Vittima facile”.

 

(Zefiro, 14/01/04)© Paolo Izzo

 

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