Il sole è ancora di tutti

 

Ho visto un bel film. Si chiama I lunedì al sole, del regista Fernando Leon de Aranoa, e affronta il tema della disoccupazione. Così il filone già validamente sperimentato da Ken Loach, dai fratelli Dardenne, da Laurent Cantet, si arricchisce di un notevole contributo che stavolta arriva dalla Spagna. Cioè dalla cugina europea che più ci somiglia, soprattutto in questo particolare periodo storico con il suo governo di soverchio ottimismo e ultraliberismo ad ogni costo (basta che il conto lo paghino i soliti).

Nei lunedì e in tutti gli altri giorni della settimana che loro malgrado i protagonisti trascorrono a zonzo (ma anche in cerca di un’occupazione qualunque, oppure alle prese con il malessere quotidiano), si dipanano le vicende di un gruppo di amici che un cantiere navale ha licenziato.

Senza ideologismi o inutili pietismi, de Aranoa racconta il dopo, la sopravvivenza, le tristi conseguenze; fra queste, l’eterno conflitto tra due tipologie di oppressi. Da un lato chi non si limita alla mera considerazione dei fatti immediati, ma cerca seppure con indolenza di guardare al di là; chi continua a sperare nei rapporti umani e a ribellarsi nel suo piccolo alle convenzioni con una sana rabbia, rivendicando i suoi diritti e quelli dei compagni. Dall’altro lato chi si rassegna precocemente, cedendo al compromesso, al quieto vivere; chi reprime quella rabbia in nome di una tranquillità fittizia, più rassicurante.

Questo conflitto, auspicato dal carnefice affinché le sue vittime spostino l’attenzione su un oggetto diverso da sé, conduce solitamente alla cosiddetta guerra tra poveri (da cui i veri responsabili sono appunto tenuti fuori).

Ne I lunedì al sole ciò non avviene, sebbene le premesse ci siano tutte: gli amici erano tutti operai dello stesso cantiere che qualche anno prima è entrato in crisi e ha cominciato a licenziare. La risposta di chi ci lavorava è stato uno sciopero compatto. Ma poi i più anziani, sconfortati dagli esiti degli scioperi, hanno firmato un compromesso con i proprietari dell’industria. L’unità sindacale si è rotta, gli scioperi hanno esaurito la loro spinta e l’azienda ha mandato a spasso i precari. Per quelli con il posto fisso il solo risultato è stato di procrastinare di un anno il licenziamento, prima dell’inevitabile e annunciato fallimento (al posto del cantiere sorgerà un albergo!).

Ma la guerra tra poveri non esplode, dicevo, per l’amicizia che lega gli amici nonostante tutto.

Santa (il bravissimo Javier Bardem), un simpatico scroccone che ha tanti sogni e reagisce con vitalità alla situazione drammatica, è un po’ il motore del gruppo perché si arrangia, perché ha successo con le donne, perché è un idealista tenace. Gli altri, più o meno rassegnati, cercano di affrontare la sopravvivenza come meglio possono: chi si sente inferiore alla moglie che lavora, chi dalla moglie è stato proprio lasciato e trasforma la solitudine in una sbronza perenne, chi tira avanti con un baretto i cui unici avventori sembrano essere gli ex-compagni di lavoro, chi – alle soglie dei cinquant’anni - va a tutti i colloqui di lavoro, compresi quelli dove cercano giovanissimi professionisti del computer. Ma c’è anche un ex astronauta russo che, crollata l’Unione Sovietica, è approdato qui, nel nord della Spagna. È sua una delle battute più carine del film: durante una delle solite bevute con i suoi amici, racconta che a Gagarin, appena tornato dallo spazio, fu chiesto se avesse incontrato Dio e che egli rispose “sì, ho incontrato il compagno Dio e mi ha detto di dirvi che non esiste”.

Questo bel film è anche multietnico, se questa parola non è stata soppiantata del tutto da quell’altra storia che si chiama globalizzazione ed il cui primo effetto è stato quello di rendere uguali tutti i disoccupati del mondo. Si può fare una previsione: corre voce che negli Stati Uniti la lettera di licenziamento si concluda sempre con la stessa formula: “salute e prosperità a lei e alla sua famiglia”. Quando questa ipocrisia avrà raggiunto ogni angolo del pianeta potremo forse dire che la globalizzazione sia davvero compiuta.

Tornando a parlare di cinema, posso concludere con l’invito a vedere questo film lasciandosi andare anche alla sua ironia: de Aranoa mostra che la capacità di sorridere che questi schietti operai spagnoli conservano persino nei momenti più disperati (facoltà che Loach per esempio concede raramente ai suoi personaggi), non è sintomatica di una resa, bensì di una speranza interiore che li porta a credere che un mondo diverso sia davvero possibile. Il raggio di sole che i lunedì, nonostante tutto, riscalda le vite di questi eroi s’estende un po’ anche al nostro cuore.

 

 

 

(17/4/03)© Paolo Izzo

 

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