I
mille volti di Dante Alighieri, detective nella sua Firenze
Intervista a Giulio Leoni
Giulio Leoni è nato e vive a Roma. Laureato in Lettere, appassionato di
storia, esperto di magia e di illusionismo, ha
esordito nella narrativa quattro anni fa con “Dante Alighieri e i delitti della
Medusa”. Dopo altri due libri gialli pubblicati nel frattempo, Leoni ha ripreso
il suo dialogo personalissimo con il sommo Poeta, facendone il protagonista de
“I delitti del mosaico” (Mondadori “Omnibus”, pp. 324).
Dopo tre gialli arriva il tuo primo romanzo
vero e proprio, “I delitti del mosaico”. Devo per forza cominciare con il quesito
atavico sulla differenza, se c’è, tra il giallo e il romanzo…
«Ho sempre cercato, anche nei gialli, di
seguire la linea che c’è anche in questo racconto. Strutturalmente non c’è nessuna
differenza perché ho sempre utilizzato la struttura gialla come un contenitore,
all’interno del quale cercavo di sviluppare una vicenda che andasse al di là della pura meccanica dell’intreccio: chi è stato –
come si trova chi è stato… Questo è importante, certo: alla fine deve esserci
uno svelamento, perché non si può lasciare il lettore
nelle tenebre. Ma più ancora è importante la dinamica
della vicenda: qualche volta il colpevole potrebbe essere chiunque...»
Forse quindi sei tu che modifichi la struttura del giallo…
«Infatti preferisco
chiamarlo “romanzo di tensione”, quello che gli americani chiamano thriller: un
romanzo il cui protagonista è la storia, prima ancora dei personaggi. Se ci pensi è uno sviluppo del romanzo alessandrino, il
romanzo di peripezie. Non ritengo di essere un giallista
puro, dunque, perché non ho una cultura prettamente giallistica.
Non ho letto così tanti gialli, e in genere non mi appassiona il giallo
realistico, come il legal-thriller: non mi appassiona
perché non mi interessa la cronaca più di tanto.
Preferisco tenere un piede nella fantasia, semmai addirittura nella
fantascienza. Ecco si può dire che da lì provengo. Ne
I Delitti, pur se nel rispetto della plausibilità essenziale della vicenda, c’è
qualche cedimento alle mie passioni per l’illusionismo e gli enigmi…»
“I delitti del mosaico” è arrivato almeno alla terza ristampa. Un bel
successo…
«Direi di sì, anche se si deve fare
riferimento alla realtà italiana, in cui si comprano pochi libri. Un libro che
vende 5000 copie diventa un best-seller. Comunque,
nell’ambito delle novità pubblicate da autori non celebri, non ci possiamo
lamentare…»
Qualcuno dice che il tuo è un Dante un po’ “strano”. Che
ne pensi?
«Ai fini espressivi ho calcato un po’ la mano,
ma sostanzialmente Dante era così! La stranezza
dipende dal fatto che a parte studi specialistici, ognuno di noi trae la sua
idea del poeta dalla scuola. Ma questa ci mostra il Dante giovane, quello della
“Vita nuova”, che poi è un Dante filtrato attraverso una lettura ottocentesca, pre-raffaellita: quasi efebico, illuminato, perso in questo amore celestiale per Beatrice, con una luminosità
straordinaria… L’altra immagine è il Dante maturo, corrusco, quello della
“Divina Commedia”: un po’ livoroso e serissimo, che
poi è quello delle statue, dei busti! Non è che non
siano versioni vere…»
Ma c’è un
altro Dante ancora, quello “avventuroso”…
«E di cui non parla
nessuno. Dante a un certo punto è diventato un uomo politico
fortissimamente coinvolto nelle vicende del suo Comune, vicende particolarmente
violente, di conflitto sociale molto acceso. Ci sono documenti che ci dicono di
come abbia combattuto a Campaldino, in prima linea:
lui faceva parte della schiera che allora si chiamava dei “foeditores”,
sostanzialmente quel gruppo di cavalieri che aveva lo
scopo di sfondare le linee nemiche! Erano quelli tra cui morivano più soldati,
erano i marines dell’epoca, gli incursori…»
Già questo ci dà una rappresentazione un po’ diversa…
«Ma non è finita. C’è
tutta una tradizione sulla vita giovanile di Dante che parla di dissipazione;
insomma, Dante era un gaudente! Fino ai venticinque anni si disinteressa di
politica e conduce una vita da gentiluomo fiorentino, nello stile dell’epoca.
Correvano voci che fosse quasi un libertino; lui
stesso lo dice, quando se ne rende conto in età più matura… Era anche un
personaggio facile al diverbio: protagonista di celebri polemiche, di risse con
Filippo Argenti. Quindi non era assolutamente l’uomo da tavolino così come viene presentato…»
Né un personaggio dalla coerenza ineccepibile…
«Nella fase dell’esilio, Dante è stato persino
un cospiratore; è stato coinvolto nel tentativo di avvelenamento
ai danni di papa Giovanni XXII, ha combattuto una seconda volta nell’esercito dei
Ghibellini, lui che era Guelfo… Direi che era un pragmatico, uno che non si
faceva condizionare più di tanto dagli schieramenti ideologici… È questo il
Dante che ho cercato di ritrarre, senza naturalmente sacrificarne l’opera, che
cerco di diluire nella narrazione.»
Il best-seller Giorgio Faletti dice che
questo è il Dante che avrebbe voluto studiare. Se si aggiunge che il tuo Alighieri, non dico che si faccia le canne, ma ci
arriva molto vicino… Anche gli studenti si divertiranno molto con questa figura
che a loro è sempre stata raccontata in modo diverso.
«Ci va vicino, alle canne! Dante nel libro
utilizza quello che all’epoca era uno stupefacente, sostanzialmente oppio. A
quei tempi si conoscevano tanto l’oppio quanto l’hascisc; non c’è nulla di strano
nel fatto che queste sostanze venissero utilizzate…. È
un Dante umano quello che ho cercato di tirar fuori, ma senza mai tradire lo
scrittore, questo ci tengo a ripeterlo. Di quello che
dice Dante, niente è lasciato al caso: o ripete cose che ha
detto da qualche parte, nelle sue opere o comunque faccio perno sulle sue idee.
Ho cercato anche un gioco un po’ più criptico, con i continui riferimenti
all’opera di Dante. Lì la cosa è un po’ più a rischio perché si può non
cogliere ogni sfumatura.»
Un secondo livello di lettura, si può dire?
«Esatto: non tutti, ma nemmeno pochi, se ne accorgono. Uno che ha fatto un minimo di liceo è chiaramente avvantaggiato! Penso per esempio al
sotterraneo della Chiesa: è chiaro che quello ha la struttura dell’Inferno e
che in qualche maniera fa venire in mente a Dante come in seguito dovrà appunto
raccontare l’Inferno.»
Per alcuni, oltre alla figura del Poeta, hai stravolto anche la città
di Firenze… Che rispondi?
«La Firenze che c’è nel libro non può essere
la Firenze attuale: basta fare due conti con la storia. Nella Firenze di Dante
non c’era nessuno dei monumenti che ci sono adesso:
c’era solo il Battistero e c’era il Ponte Vecchio, che comunque era
completamente diverso da adesso. Ma soprattutto era differente l’urbanistica
della Firenze di fine Duecento: all’epoca di Dante, il centro storico era
ancora il vecchio castrum romano, con le sue strade
rettilinee e ortogonali, strette; con gli edifici bassi, per quasi due terzi
costruiti di legno.»
Non c’erano i palazzi che vediamo adesso.
Quelli arrivano nel tardo Trecento, nel Quattrocento…
«Lo skyline era
proprio un altro: l’unica cosa che c’era sono le torri perché le famiglie
nobili, invece dei palazzi, facevano costruire le torri. In realtà quindi
Firenze era un luogo stretto, buio, pieno di queste torri, mal lastricato… Per
averne un’idea si deve immaginare piuttosto Pompei: la
Firenze del Duecento era una Pompei irta di torri!»
Siccome hai parlato di skyline e di torri,
devo dirti che nel prologo, pur leggendo che si tratta del 1291, ho avuto
l’impressione che ci fosse un riferimento all’attacco dell’11 settembre, per la
dinamica, per il crollo del torrione…
«Esplicitamente non ci ho pensato; ma non
escludo che potesse esserci nel mio inconscio una specie di ricordo di quel
terribile attentato. Ovvero che nell’immaginazione si sia
fissata una forma che poi è rimasta latente…»
Ti faccio un’ultima domanda: abbiamo detto di un Dante giovanile dagli
amori quasi platonici. Nella maturità il suo rapporto con l’immagine femminile
si modifica. Diventa più passionale?
«Varrebbe la pena di scrivere un libro
soltanto su questo: la personalità sessuale, erotica di Dante. Perché era un uomo dalle molte sfaccettature: in lui erano
compresenti l’amore platonico, più celestiale, e nello stesso tempo degli
aspetti di vera libidine, proprio terrena… Nonostante fosse sposato, con figli,
ebbe diverse amanti, alcune delle quali si conoscono anche storicamente.
Ma non un libertino nel senso settecentesco, perché gli manca
la spensieratezza del tempo. In realtà quando si innamorava
era come se trasferisse sulla donna quella passione che aveva per l’intelletto,
per la scrittura.»
(Nuova Agenzia
Radicale, 16/03/04)©
Paolo Izzo
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