Buon anno a Teheran

 

I botti sono forti, ma niente paura: George W. Bush non ha ancora applicato contro l’Iran la “National Security Strategy” annunciata nei giorni scorsi. al presidente Mahmoud Ahmadinejad è scoppiata tra le mani la sua proclamata quanto virtuale bomba atomica. Non è nemmeno una festa per la Giornata della nazionalizzazione dell’industria petrolifera o per l’apertura della Borsa petrolifera iraniana, che proprio a partire da marzo utilizzerà l’euro invece del dollaro come moneta di scambio per l’acquisto dell’oro nero. I fuochi d’artificio, come ovunque nel mondo, salutano il nuovo anno e il 21 marzo, equinozio di primavera, in Iran si celebra il No Ruz. E' una festa dalle origini lontanissime e "laiche" - celebrata già nel 3000 a.C. dai Sumeri - che nel calendario persiano ricorda la fuga di Maometto a Medina, avvenuta 1385 anni fa.

A Teheran 14 milioni di abitanti sono pieni di aspettative per l’anno in arrivo e per tredici giorni non penseranno ad altro. Si acquistano vestiti nuovi. Chi può compra mobili per la casa, gli altri la puliscono a fondo, a cominciare dai numerosi tappeti che coprono persino i pavimenti delle cucine. Si visitano parenti e amici, si mangia molto, piatti tradizionali, datteri e dolci in quantità. Il tredicesimo giorno, per scaramanzia, si lascia la città per una gita “fuori porta”.

Arrivo nella capitale iraniana giusto alla vigilia del No Ruz. La mia guida si chiama Moustafa e parla italiano perché ha studiato a Pisa negli anni ’70. Quando dovette tornare nel suo Paese per accudire la madre inferma, ad accoglierlo trovò l’oscurantismo della rivoluzione khomeinista.

Oggi che la morsa integralista è meno serrata, Moustafa riesce a condurre una vita decorosa come autista e guida turistica. Così mi porta a spasso per musei e moschee, nel traffico caotico ed esasperante della capitale persiana, dove il tempo trascorso è sempre superiore allo spazio percorso. Immancabile un invito a casa sua per presentarmi la famiglia: la moglie Fariba, i due figli, Ario e Shirin, entrambi studenti di architettura. Nell’appartamento in cui entriamo abbandoniamo le scarpe sulla soglia e respiriamo da subito un’aria di libertà: i capelli delle due donne non sono coperti dal russarin, la foggia dei loro abiti ricorda lo stile occidentale e i mantò non cancellano le loro forme. Le antenne paraboliche, ben nascoste all'occhio delle autorità, trasmettono immagini che provengono da paesi lontani.

Fuori no, non c'è la stessa libertà, ma adesso è festa e non si pensa ad altro. Fuori si trova il calore della gente, la spontanea umanità di sconosciuti che ti sorridono e ti studiano. Ai semafori, ragazzini vestiti di rosso e con la faccia dipinta di nero suonano tamburelli chiedendo spiccioli per una celebrazione più “ricca” del No Ruz; nel Bazar le contrattazioni sono vorticose come se ci trovassimo a Wall Street, i negozi di stoffe e spezie variopinte affollatissimi…

La seconda sera del mio soggiorno, quando la cappa di smog comincia a stringere la gola, andiamo a bere un tè nel Park-e Jamshidiyeh, sulle pendici dei monti Elburz. Qui le ragazze e i ragazzi di Teheran fino a mezzanotte possono finalmente tenersi per mano, abbracciarsi senza essere sposati nemmeno con un sigheh, il “matrimonio temporaneo” cui si ricorre per "scambiarsi tenerezze" senza farsi arrestare dalle milizie religiose del Basij. I guardiani della rivoluzione qui nel parco non arrivano quasi mai.

Prima del mio ritorno in Italia, Fariba e Moustafa mi invitano a un brindisi analcolico per l’anno nuovo. Con espressione solenne formuliamo l’ingenuo auspicio che l’Iran arrivi in pace a una maggiore libertà dalla teocrazia. Senza passare per le bombe atomiche, senza soccombere a una guerra preventiva. Che la democrazia nasca da dentro e che non venga importata.

 

(Left, 24/03/06)© Paolo Izzo

 

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