Buon anno a Teheran
I botti sono
forti, ma niente paura: George W. Bush
non ha ancora applicato contro l’Iran la “National Security Strategy” annunciata nei
giorni scorsi. Né al presidente Mahmoud
Ahmadinejad è scoppiata tra le mani la sua proclamata
quanto virtuale bomba atomica. Non è nemmeno una festa per
A Teheran 14 milioni di abitanti
sono pieni di aspettative per l’anno in arrivo e per tredici giorni non
penseranno ad altro. Si acquistano vestiti nuovi. Chi può compra
mobili per la casa, gli altri la puliscono a fondo, a cominciare
dai numerosi tappeti che coprono persino i pavimenti delle cucine.
Si visitano parenti e amici, si mangia molto, piatti
tradizionali, datteri e dolci in quantità. Il tredicesimo giorno, per
scaramanzia, si lascia la città per una gita “fuori porta”.
Arrivo nella
capitale iraniana giusto alla vigilia del No Ruz.
La mia guida si chiama Moustafa e parla italiano
perché ha studiato a Pisa negli anni ’70. Quando dovette tornare nel suo Paese
per accudire la madre inferma, ad accoglierlo trovò
l’oscurantismo della rivoluzione khomeinista.
Oggi che la
morsa integralista è meno serrata, Moustafa riesce a
condurre una vita decorosa come autista e guida turistica. Così mi porta a
spasso per musei e moschee, nel traffico caotico ed esasperante della capitale
persiana, dove il tempo trascorso è sempre superiore allo spazio percorso.
Immancabile un invito a casa sua per presentarmi la famiglia: la moglie Fariba, i due figli, Ario e Shirin,
entrambi studenti di architettura. Nell’appartamento
in cui entriamo abbandoniamo le scarpe sulla soglia e respiriamo da subito
un’aria di libertà: i capelli delle due donne non sono coperti dal russarin, la foggia dei loro abiti ricorda lo stile
occidentale e i mantò non cancellano le loro
forme. Le antenne paraboliche, ben nascoste all'occhio delle autorità, trasmettono immagini che provengono da paesi
lontani.
Fuori no, non
c'è la stessa libertà, ma adesso è festa e non si pensa ad altro. Fuori si
trova il calore della gente, la spontanea umanità di sconosciuti che ti
sorridono e ti studiano. Ai semafori, ragazzini vestiti di rosso e con la
faccia dipinta di nero suonano tamburelli chiedendo spiccioli per una
celebrazione più “ricca” del No Ruz; nel Bazar
le contrattazioni sono vorticose come se ci trovassimo a Wall
Street, i negozi di stoffe e spezie variopinte
affollatissimi…
La seconda
sera del mio soggiorno, quando la cappa di smog comincia a stringere la gola,
andiamo a bere un tè nel Park-e Jamshidiyeh, sulle pendici dei monti Elburz. Qui le ragazze e i ragazzi di Teheran fino a mezzanotte possono finalmente tenersi per
mano, abbracciarsi senza essere sposati nemmeno con un sigheh,
il “matrimonio temporaneo” cui si ricorre per "scambiarsi tenerezze"
senza farsi arrestare dalle milizie religiose del Basij.
I guardiani della rivoluzione qui nel parco non arrivano quasi mai.
Prima del mio
ritorno in Italia, Fariba e Moustafa
mi invitano a un brindisi analcolico per l’anno nuovo.
Con espressione solenne formuliamo l’ingenuo auspicio che l’Iran arrivi in pace
a una maggiore libertà dalla teocrazia. Senza passare
per le bombe atomiche, senza soccombere a una guerra
preventiva. Che la democrazia nasca da dentro e che non venga
importata.
(Left, 24/03/06)© Paolo Izzo
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