Donne, aborto e «misoginia di Stato»
Intervista a Carlo Flamigni
Le edizioni L’Asino d’Oro portano in libreria due volumi curati
da Carlo Flamigni e Corrado Melega:
RU486. Non tutte le streghe sono state
bruciate e La pillola del giorno
dopo. Dal silfio ad oggi. Due
libri distinti per due farmaci assai diversi, per impiego e per composizione,
ma sui quali si fa ancora molta confusione. Due manuali che dicono
veramente tutto quello che occorre sapere sulla interruzione
di gravidanza farmacologica e chirurgica, nonché in
genere su prevenzione e salute in materia di ostetricia e ginecologia. Libri pensati e scritti per le donne, dunque, che però dovrebbero
leggere anche e soprattutto gli uomini.
In occasione,
in questi giorni, dell’uscita del primo volume (il secondo è previsto per la
fine di aprile), abbiamo intervistato il professor Carlo
Flamigni, già ordinario di Ostetricia e Ginecologia
all’Università di Bologna, membro del Comitato Nazionale di Bioetica e
Presidente Onorario dell’AIED (Associazione Italiana per l’Educazione
Demografica), cui andranno i suoi ricavi per la vendita di questi libri.
Professor Flamigni, lei e il suo collega Corrado Melega
iniziate questo primo volume con una dedica sarcastica agli “orchi” del
Consiglio Superiore della Sanità, che hanno recentemente stabilito che “l’unica
modalità di erogazione” della RU486 debba essere il
“ricovero ordinario”. Su questo farmaco, che già arriva con notevole ritardo
rispetto ad altri Paesi, ci sono ancora forte ostilità
e molta confusione?
Fare confusione è un modo per governare. Basti pensare al libro di Eugenia Roccella e Assuntina Morresi, “La favola dell’aborto facile”, per rendersene
conto. In esso, sono tante le affermazioni ingiuste e quelle
non vere, a partire dal senso di “solitudine e abbandono” che sconvolgerebbe la
donna che abbia deciso di ricorrere alla RU486, fino al tasso di mortalità che
le due signore forniscono e che cresce incongruentemente man mano che si va
avanti nella lettura del loro testo. Due brave ragazze come Roccella
e Morresi farebbero bene a
occuparsi di cose di cui invece nessuno si rende conto.
E cioè?
Per esempio, l’uso assolutamente improprio che fanno le nuove cittadine,
soprattutto dell’Europa dell’Est, che vanno a comprare
le prostaglandine in farmacia dicendo di avere mal di
stomaco… e ci sarà certamente qualche medico che fa loro le ricette (e questa secondo
me è già notizia di reato). Poi ne prendono quantità eccessive
e spesso finiscono in ospedale, perché gli effetti collaterali di enormi
quantità di prostaglandine sono dannosi, anche
mortali. Questo è un dramma che c’è sempre stato: se si va indietro nel tempo,
le donne morivano di appiolo,
un derivato del prezzemolo nonché antico metodo per abortire prima degli antiprogesteronici.
Ritiene ci
sia il rischio che si torni all’aborto “fai-da-te”?
Un altro problema vero è questo: c’è un numero smisurato di medici che si
rifiutano di intervenire, facendo obiezione di coscienza; in alcune regioni si
arriva quasi al 90% di obiettori. Quindi diventa
sempre più difficile rispettare i tempi: ci sono ragazze impaurite perché vengono rinviate e c’è un problema di sicurezza, perché più
avanti interrompi la gravidanza, maggiori rischi fai correre alle donne. Poi
c’è la fuga dagli ospedali, dove le donne sono trattate male e magari, di
fianco allo sportello in cui vanno a prenotare l’IVG, trovano la segreteria del
Movimento per la Vita che fa loro un secondo processo! Queste donne, allora,
ricorrono alle amiche per ottenere un”indirizzo” alternativo, che può portarle
all’estero, nell’ambulatorio privato di uno dei medici dell’ospedale
che ha fatto obiezione oppure da una “mammana”, che interrompe la gravidanza
con metodi antichi. I rischi sono alti. Si sta riorganizzando un mercato
dell’orrore.
L’obiezione
di coscienza dei medici è ovviamente molto legata alla religione cattolica. Ve
la prendete spesso, nel libro, con l’ingerenza del Vaticano nella medicina e
nei rapporti tra medico e paziente.
Le esprimo un concetto che vale per tanti problemi: questo è un Paese che
ha molto più bisogno di compassione che di religione. Invece gli viene somministrata una grande quantità di religione e una
scarsissima quota di compassione. Una sera guardavo la tv per cercare di
addormentarmi e ovunque andassi si parlava del papa, di
santi, di miracoli, della sacra sindone… Era tutta una propaganda fidei. Capisco che la Chiesa
cattolica ne abbia bisogno in questo brutto momento…
ma un po’ di compassione, non dico di laicità, anche per me?
Ritiene che
viviamo in uno Stato teocratico?
E’ uno strano Stato teocratico, dove in fondo le persone che credono in Dio
sono pochissime, ma le persone che hanno rispetto per il potere della religione
sono molte, cominciando dai partiti politici che si
contendono la capacità del Vaticano di distribuire i voti dei fedeli. Tutti
sono sicuri che, se fanno qualcosa contro la religione, quei voti li perderanno.
Così si mettono in quella posizione, che di solito si usa per definire gli
animali, che si chiama “lordosi di accettazione”.
Che
poi si traduce in un attacco alle donne. In una vera
misoginia. A molti uomini farebbe bene la lettura del vostro libro…
Una volta invece sono stato accusato da una compagna femminista, su Liberazione, di essere
paternalista. Si ricorda quando Giuliano Ferrara
propose una moratoria contro l’aborto? Risposi: perché no? Ma
prima vogliamo il rispetto per le donne! Che invece ci si
aspetta di portare in televisione con l’obbligo di andarci in mutande e più le
mutande sono piccole e più faranno carriera; di portare nelle ville dei magnati
per vedere se hanno capacità tecniche di fare politica. Bisogna prima insegnare
ai fratellini a rispettare le sorelline, bisogna prima insegnare la libertà
sessuale… Ci vuole una società giusta che non tolga il
lavoro alle donne, che conceda loro la possibilità di badare ai figli oltre che
a lavorare in fabbrica. Non so se sono paternalista, ma penso di dire cose in
cui molti di noi credono… La misoginia è nel potere che prevarica e che ha
un’interpretazione del sesso femminile molto utilitaristica. Penso che siamo di
fronte a una misoginia di Stato.
Voi scrivete
che la legge 194 funziona bene ed è ben applicata, ma che l’unica modifica che fareste
è proprio sul tema dell’obiezione di coscienza.
Quando la 194 fu
approvata, l’obiezione di coscienza era necessaria perché c’erano vecchi
ostetrici che, quando avevano deciso di fare quel mestiere, al pensiero di
dover interrompere una gravidanza sarebbero morti d’infarto. Invece, da quel
momento in poi ci siamo trovati di fronte al “problema” che la
IVG fa parte della tutela della salute delle donne: se fossi un medico
cattolico che non vuole interrompere le gravidanze, non andrei in un ospedale pubblico
di ostetricia dove la prevenzione e la salute della donna sono al centro del
mio lavoro. Vado a fare un’altra cosa! Cioè: non metto
un musulmano a vendere carne di maiale! Questo andrebbe rivisto della legge,
anche perché io stesso ho avuto molti collaboratori che sono venuti a dirmi che
volevano fare obiezione, ma non perché fossero religiosi, ma perché: “mi rompo le scatole”, “è una cosa ripetitiva”, “mi danneggia
nella carriera, perché se il direttore sanitario cattolico sa che non ho fatto
obiezione, la prossima volta che ci sarà da assegnare un posto di aiuto non lo
dà a me”. La libertà è un conto, ma quando c’è di mezzo la salute delle donne non
ci può essere un criterio acritico per cui uno decide
quello che vuole sulla base di principi e interessi privati e nessuno va a
vedergli nelle tasche…
A un certo
punto del libro, fate un’osservazione a proposito del fatto che un vero passo
in avanti per la salute delle donne fu la sentenza della Corte costituzionale
del febbraio 1975, quando fu introdotto “l’equilibrio psicologico” della donna
tra i motivi che potevano far ricorrere alla IVG.
E’ la sentenza nella quale si dice per la prima volta che può esistere un
problema di salute per la donna che non sia fisico e
si mettono le basi per quella che poi è la materia fondante della legge 194: ha
più diritti chi è già persona di chi persona deve ancora diventare. Il problema
della salute è stato poi gestito con enorme saggezza dal legislatore e la legge
194 è molto solida. Recentemente è stata attaccata con la scusa che, con l’aborto,
venga espulso dal grembo materno un feto che potrebbe
sopravvivere: non è così, perché se il medico si rende conto di una tale
possibilità (da ecografia, peso, settimane di gravidanza), allora non si può più
parlare di salute psicologica. Ma in quel caso vale ancora
la condizione di necessità: se il feto è diventato “l’assassino di sua madre”,
lo tolgo dal grembo, poi semmai lo consegno a qualcuno che cercherà di farlo
sopravvivere… E’ una legge molto saggia, la 194. La si
confronti con la legge 40, che è una legge fragile, costruita e scritta controvoglia
da gente che non l’amava e che l’ha riempita di passerelle che oggi servono al
magistrato che va a cancellare quello e a togliere quell’altro…
Quando c’è una
possibilità che il feto sopravviva?
Dopo la 22esima settimana. Prima di questo tempo il feto non ha alveoli
polmonari e non ha capacità di vita esterna al corpo della madre. Infatti è lì che scatta il meccanismo della condizione di
necessità: dopo la 22esima settimana l’interruzione si fa quando è a rischio la
vita della donna. E’ una norma che già esisteva prima della 194 e che fa tacere
tutte le altre norme: la condizione di necessità.
Ma quando
inizia, effettivamente, la vita umana?
Quando il feto si iscrive al sindacato! La vita
personale, lei dice? La vita personale comincia quando
lo dice la madre. E’ un personalismo che deriva dal vecchio mondo femminista:
bisogna che l’embrione si sia annidato nel grembo materno, ma anche che la
donna l’abbia riconosciuto come proprio figlio. Quindi questo esclude le
nascite per violenza e per caso… E’ necessario che ci sia il contatto con il
grembo della madre, che è quello che lo mette in connessione con il mondo, con
la società, ma è anche necessario che la madre voglia fare questo gesto, cioè che lo riconosca come figlio.
La nascita è
la vera cesura, comunque…
Lo è sicuramente sul piano del codice civile.
Un’ultima
domanda, sul ruolo degli uomini. Nella sessualità una mezza importanza ancora ce l’abbiamo, ma nella procreazione contiamo sempre meno…
Non ne farei una questione tecnica. Fare un figlio è un piano di sviluppo
del modello familiare particolare al quale quasi tutti noi teniamo. Il problema
forse non è neanche capire qual è il nostro ruolo, ma
come uomo e donna, insieme, dovrebbero guardare alla vita sessuale. Una
definizione della vita sessuale potrebbe essere quella di una bellissima
insalata russa, dentro la quale c’è fare figli, ma c’è
anche divertirsi, farsi le coccole, rispettarsi, dialogare. E quando c’è una insalata russa da mangiare, nessuno pensa di mangiare
solo la maionese. Nel momento in cui si dialoga, ci si fa le coccole, si può
anche immaginare di allargare la propria famiglia, di avere qualcuno da
crescere. Gli uomini e le donne hanno un modo diverso di guardare alla
procreazione: gli uomini immaginano di continuare a vivere e amano il pensiero
della vita familiare che continua. Le donne tengono molto ad avere qualcuno da
amare. Insieme, tutto questo, vuole dire fare un figlio.