Non c’è libertà senza identità
Intervista a Massimo Fagioli
Psichiatra,
scrittore, docente universitario, architetto, regista… Per presentare il
teorico dell’Analisi collettiva, Massimo Fagioli, ci vorrebbe una lunga
introduzione. Di questi tempi dovremmo aggiungere che è diventato un referente
politico, se pensiamo che Fausto Bertinotti si è interessato in più occasioni
alla sua teoria sulla nascita e natura umana, preziosa per la sinistra
soprattutto per il rifiuto dell’idea di un Male originario e del peccato
originale. Teoria che lo psichiatra esprime, oltre che nei
suoi libri, nelle ormai note pagine intitolate “Trasformazione” del settimanale
«Left». Gli abbiamo rivolto alcune domande sugli anni in cui nasceva Quaderni
Radicali, anni che Fagioli ha vissuto molto…
irrazionalmente.
Professor
Fagioli, vuole raccontarci gli anni 70 dal suo punto di vista?
È una ciliegia
che tira l’altra, perché prima degli anni 70 ci sono gli scioperi e il
cosiddetto “autunno caldo” del ’69; prima ancora c’è il ’68, in particolare il
Maggio francese, dove non ci sono ancora le lotte operaie ma si tratta di un
movimento studentesco, matrice delle battaglie per i diritti civili. La grande domanda di quegli anni è la Libertà, cioè la prima
parola della Rivoluzione francese, già ripresa anche nei moti del 1848.
Un’altra ciliegia, però, è che questa ribellione ha dietro un intero decennio e
bisogna tenere presente che la rivolta più o meno libertaria, ma anche
notevolmente politica, era cominciata nel
Quindi sarebbe
tutto un continuum, senza separazioni?
Questa è
un’affermazione che ancora non ho il coraggio di fare:
molti dicono che il ’77 è tutta altra cosa rispetto al ’68; altri sostengono la
tesi per cui il ’77 sarebbe la degenerazione sanguinosa, terroristica del ’68.
A me interessa leggere questi passaggi come un fatto storico. E in tal senso do
ragione a chi, come Sansonetti e Gagliardi, dice che
il ’68 era una grande cosa e che però negli anni 70
viene distrutto quel movimento che aveva il sogno di un’umanità migliore.
Chi lo
distrusse?
Dicono il partito
comunista da una parte e il terrorismo dall’altra. Ma
qui si pone una questione: specialmente il partito comunista nell’Europa
occidentale riguarda soltanto l’Italia e volendo essere pignoli riguarda un
quarto dell’Italia, perché a sud non è mai esistito. Quindi
non si può finire in una questione provinciale, senza accorgersi che a partire
dagli anni 60 c’è stato un movimento che ha riguardato tutto il mondo! L’Italia
in questo senso è un fanalino di coda. Se poi vogliamo
fare ancora un po’ di storia, possiamo risalire fino alla destalinizzazione
del 1956. E chiederci: esiste un altro comunismo o il
comunismo è Stalin e Mao e Castro? Un altro comunismo
non c’è: se butti giù Stalin, come ha fatto Kruscev,
butti giù il comunismo. Così le matrici di quanto è successo nell’’89 con la
caduta del Muro starebbero nel ’56. Ecco il discorso.
Cosa si è perso
per strada nel passaggio dal ’68 agli anni di piombo?
Su questo sono “radicale”: per me la molla di tutto è stata
Facciamo un
confronto con l’attualità. Non le sembra che oggi questo fronte cattolico sia
più forte che negli anni 70?
Verissimo.
Oggi, e lo dice bene Ezio Mauro su la Repubblica del 7 febbraio, c’è
un’offensiva cattolica senza precedenti. Pur essendo
ormai una minoranza, anzi proprio per questo, i cattolici vogliono l’egemonia
culturale facendo breccia sulla tradizione cristiana, con l’aiuto della destra
che innesca il pericolo del terrorismo islamico, sostenendo Bush
e la guerra di Bush.
E la sinistra?
La sinistra
non si sa opporre ad un’aggressione del genere, perché non ha una teoria sulla
realtà umana. Così l’egemonia culturale diventa dittatura di legge e il
Vaticano impone che in Italia non si deve fare la legge sui pacs
o sull’eutanasia o sulla ricerca sulle staminali embrionali… Diventa una
dittatura, apparentemente democratica, che gioca sui vari Rutelli
e Mastella di turno, i quali si rivelano peggio dei
preti. Peggio di quei democristiani che nel 1958 fecero una qualche proposta
per la tutela delle coppie di fatto! Si arriva al paradosso di dire che quando
la Dc aveva la maggioranza assoluta c’era più
libertà, più liberalità, più laicità. Tanto è vero che sono
passati il divorzio e l’aborto. Con questi non passano nemmeno i pacs! E il novanta percento degli
italiani, che non ha il coraggio di dichiararsi ateo, consente che l’altro
dieci percento imponga la propria volontà.
È una vita
che lei si scontra su queste tematiche, sin dalla fine
degli anni 50. Come si inserisce in questo discorso
storico la sua ricerca sulla psiche?
Lì c’entra la
svolta del 1784, quando Mesmer volle occuparsi di
realtà umana e aprì le porte, seppure con la stupidaggine del magnetismo
animale, alla psicoterapia, che prima fu ipnosi e poi passò attraverso la
psicanalisi freudiana. E Freud sarebbe il grande
scopritore dell’inconscio avendo sostenuto che l’inconscio è inconoscibile! È
così che la psicoterapia è diventata un esercizio di memoria cosciente, come
potrebbe farlo un commissario di polizia: “mettiti qui
e ricordati, trovati l’alibi, che facevi la notte del 2 febbraio?”. Un esercizio di memoria come quelli che faceva Pico
della Mirandola. Non c’è mai stata, al contrario, una ricerca sulla
realtà senza coscienza.
Nel 1978 viene varata la legge 180 sulla chiusura dei manicomi. Anche
qui lei è stato piuttosto critico…
Ecco un’altra
ciliegia. Ben venga la chiusura dei manicomi, gli stessi
radicali volevano fare un referendum, no? Da lì a
esaltare Basaglia e la 180 - che per inciso non è
fatta da Basaglia, bensì dal socialista Mariotti
– ce ne passa. Il problema è come per lo
“scopiamo, scopiamo”: buttiamo giù i muri e la
malattia mentale sarebbe risolta? Ma siamo scemi? La
malattia mentale va affrontata in maniera ben più solida. Difatti abbiamo
chiuso i manicomi e in Italia pare tutto un manicomio: penso a
Erba, a Cogne, a Novi Ligure e alle altre mostruosità motivate con assoluta
stolidità: “L’ho ammazzata perché il suo cane abbaiava”, “ho ucciso il bambino
perché piangeva”. Il “vaffanculo” non esiste più, esiste
Aggiungiamo i
vari “manicomi” privati che ogni tanto vengono
scoperti oppure gli interessi delle multinazionali farmaceutiche?
Ah sì! Le cliniche
private e le case farmaceutiche fanno un sacco di soldi, ma la malattia mentale
resta. E la colpa è di quegli psichiatri a cui non
interessa veramente di sapere cosa c’è dentro la psiche, dentro l’inconscio di
chi si è ammalato. Si affidano all’elettrochoc, alla neurologia, alle medicine.
La sua storia
personale, invece, è molto diversa…
Presi
medicina per fare lo psichiatra: frequentavo l’ambiente perché mio padre era
medico e vedevo che il malato di mente lo buttavano via.
Guarivano un’appendicite acuta e il malato di mente lo rinchiudevano
nel manicomio. Quindi ho fatto tutta la strada
classica, dalla specializzazione ai manicomi, alla clinica di Binswanger, alla psicanalisi, al training. Per arrivare a questo fenomeno dell’Analisi collettiva nel ’74-’75,
dopo aver scritto i miei libri, la mia teoria, avendo rifiutato Freud, Foucault, Basaglia, l’elettrochoc e la camicia di forza. Ormai sono
più di trent’anni e pare proprio che la cosa
funzioni.
C’è chi come Citto Maselli, per citare uno che
non partecipa ai suoi seminari ma sa bene di che si tratta, ritiene che in
quella stagione tante persone si sarebbero salvate
proprio venendo all’Analisi collettiva…
Questo si inserisce nel nostro discorso tra ’68 e ’77. Pur lavorando
già nell’analisi individuale sulla fantasia di sparizione, sull’annullamento,
su anaffettività e dissociazione, decisi di scrivere la mia teoria alla fine
del ’70, cioè dopo il ’68, perché (e lo dico in Bambino
donna trasformazione dell’uomo) vedevo che la gente, dopo la grande
euforia, cadeva in crisi depressive e dissociative mostruose. Vennero a dirlo
ai seminari: “io sono venuto perché stavo impazzendo”,
“io perché avevo capito che i discorsi di Toni Negri portavano alla morte”…
Oggi quei discorsi dissociati di Negri ritornano e c’è Scalzone
che vuole rifare la rivoluzione: insomma non si può avere una mentalità
infantile di questo genere, tra “liberiamo il desiderio” e prendiamo lo schioppetto per fare il corsaro nero! Non esiste che ci sia una cultura che segue queste dichiarazioni senza senso.
Per questo scrissi Istinto di morte e conoscenza e fu chiaro che mi ero sempre scontrato con il freudismo.
Allora si vide che tra il freudismo e quello che da
psichiatra avevo pensato, scoperto e teorizzato io,
c’era un’incompatibilità assoluta!
E cominciarono
i famosi seminari…
Dopo altri
due libri, immediatamente, cominciai a Siena nel 1974,
poi al Centro di Igiene mentale di Roma dove mi chiamò Ammaniti
e a Villa Massimo dove mi chiamò Lalli. Infine a via Roma Libera, dove siamo dal 1980. La gente corse a
frotte, per confrontarsi con questa grande eterodossia
dove non c’era l’analisi individuale e non c’era onorario: massima libertà,
come nel ’68, però con una struttura, una spina dorsale di teoria e, se vogliamo,
di prassi e di mia formazione personale: non mi ero inventato di fare lo
psichiatra qualche giorno prima…
Possiamo dire
che i suoi seminari hanno preso il buono del ’68 e rifiutato il peggio del ’77?
È un’ottima
frase. Però il buono del ’68 era solo
Come ci si
riesce?
Con
la ricerca, con una lotta che è continua proposizione di cercare l’uomo, l’essere
umano.
Conosci te stesso, ma per conoscere te stesso devi
essere. Bisogna scoprire l’irrazionale e una prassi irrazionale, però
intelligente, non stupida o violenta. Bisogna cercare questo io al di là della ragione e poi realizzarlo come identità. Che ognuno trovi la sua identità, non per educazione - e qui
ritorna lo scontro con la religione. La mia grande sfida, da kamikaze
anche se ancora non sono morto, è fare ricerca sul non cosciente affermando che
non è inconoscibile. In una prassi di rapporto interumano, in cui si tolga la corteccia della coscienza e del comportamento e si
stabilisca una possibilità di comunicazione a livello inconscio, si può avere
questa conoscenza. Fino alla codificazione dell’interpretazione dei sogni, cioè portare al pensiero verbale un linguaggio senza parola
e di sole immagini, ovvero quello del sonno.
(realizzata l’8 febbraio 2007 e pubblicata su Quaderni Radicali n.
100, luglio 2007)
© Paolo Izzo
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