Ordinaria quotidianità criminale
Un soldato della mafia alla ricerca
dell’identità.
Successo di pubblico per Il dolce e l’amaro di Andrea Porporati,
in concorso
alla 64esima edizione del Festival di Venezia
Saro (Lo Cascio) è un
aspirante “uomo d’onore” nella Palermo anni Ottanta. Cresciuto nei vicoli con
l’idea che appartenere alla mafia rappresenti il raggiungimento di un’identità
da “eletto”, viene presto individuato dai mafiosi,
quelli veri, che lo mettono alla prova e che agiscono sulla sua rabbiosa
personalità per farne un criminale. «Ricordati che nella vita c’è il dolce e
c’è l’amaro; un uomo si deve prendere tutti e due».
Così ha detto a Saro suo padre, prima di essere ammazzato in carcere. Così, su
un vecchio proverbio caro a Cosa Nostra, dove il dolce è potere e ricchezza e
l’amaro è assassinio e morte, si dipana la storia di
un “soldato semplice” della malavita organizzata.
A Venezia 64 è sbarcato Il dolce e
l’amaro di Andrea Porporati che, insieme ad Annio
Gioacchino Stasi (co-autore di soggetto e sceneggiatura) e a un cast di prim’ordine, ci racconta senza moralismi il quotidiano di
un mafioso, apparentemente normale, ma a tratti feroce e grottesco. Sarà
soprattutto il continuo rifiuto dell’amata Ada di
incarnare il cliché di donna del Sud
cieca e muta a mettere in crisi la presunta identità di Saro. «Rivelando il vuoto che essa sottende, un vuoto fatto di rapporti
malati, dove l’amico è la prima persona da cui diffidare, o inesistenti come
con le donne, ombre nell’universo tutto
maschile di Cosa Nostra», ci dice Stasi il 4 settembre, prima della
presentazione ufficiale del film. «In effetti - aggiunge Porporati -
anche se compare poco, il personaggio di Ada, insieme
a quello del giudice (Gifuni), è fondamentale.
Rappresenta la visione femminile delle cose che, nel mondo mafioso, è già di
per sé sovversiva. Ada non è una donna particolarmente eroica, ma, pur amando
Saro, non vuol fare la moglie di un delinquente e questo costringerà lui a
ripiegare su quella scelta dalla Famiglia». L’immagine “sovversiva” rimane però
sullo sfondo… «Esatto. È lì a minare il castello di
carte dell’identità posticcia di Saro finché arriva la
disillusione e lui, quasi naturalmente, tornerà a cercarla». Perché
un giovane sceglie di stare dalla parte sbagliata della società? «Per
l’autoritarismo», risponde Porporati. «La mafia è uno dei pochi sistemi che
ancora fa perno su questa visione, sposata a una forma
di superomismo mediterraneo. Vieni
scelto in base a delle “qualità”: coraggio mescolato a violenza, ma anche
capacità di stare al tuo posto, di accettare l’autorità. Ti vendono un fascismo
in salsa spicciola, ti dicono che il mafioso è diverso, lupo in mezzo a pecore
quasi contente di essere governate; e tu accetti di avere un capo supremo che
ti gestisce la vita per ottenere, in cambio, il famoso rispetto». «La mafia -
prosegue Stasi - ricalca, estremizzandoli, i caratteri istituzionali della
Società, dalla gerarchia alla legge, dal potere economico alla religione e
perciò rappresenta un’immagine vincente per certa gioventù. Chi, al contrario,
si presenta con un’identità di contrapposizione, viene
spesso lasciato solo dallo Stato e questo fa sì che un’immagine di legalità, di
giustizia appaia come un’identità perdente. Dovrebbe ovviamente essere il
contrario e il nostro tentativo è proprio di chiederci
perché accada questo rovesciamento». Avete optato per
una storia semplice, almeno rispetto alle epopee americane… «Loro preferiscono
costruire dei drammi elisabettiani sulla mafia, facendo sembrare che ci sia
qualcosa di sostanzioso che regge tutto. Tra l’altro
scegliendo Pacino, Brando, De Niro, cosa che piace
molto ai mafiosi (ne parla anche Roberto Saviano nel suo Gomorra), i quali finiscono per
ispirarsi loro stessi ad attori di quel calibro e non viceversa!».
Viene da chiosare, visto che siamo in tema di
identità, con una piccola riflessione a margine del dibattito sull’ennesima
crisi di identità del cinema nostrano. Non sarà, diciamo noi, proprio perché si
connota come un universo prettamente maschile? Non sarà che ci vuole un’Ada, come per Saro, ovvero una riscoperta del femminile,
per uscire da questa crisi? Porporati sorride
annuendo, Stasi alza un sopracciglio per indicare che in sala è arrivata
Donatella Finocchiaro. Ada, appunto.
(Left, 07/07/07) versione integrale ©
Paolo Izzo
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