Guarire dall’anoressia

Intervista a Ludovica Costantino

 

“La ricerca di un’immagine - L’anoressia mentale” è stato da poco pubblicato dall’editore Liguori ed è già utilizzato come libro di testo all’Università “La Sapienza” di Roma. L’Autrice, Ludovica Costantino è psichiatra e psicoterapeuta, fa parte da anni dell’Analisi collettiva e quindi si avvale della teoria di Massimo Fagioli. L’abbiamo intervistata su questa patologia molto diffusa, l’anoressia, che la dottoressa Costantino affronta, nella prassi medica come nel suo libro, con un’inedita caparbietà. E con un solo obiettivo: la guarigione.

 

Dottoressa Costantino, nella sua ricerca molto approfondita così come nel rapporto quotidiano con le sue pazienti lei si occupa di anoressia mentale. A quali conclusioni è arrivata?

L’anoressia è una malattia grave e nel mio lavoro l’ho dovuta sviscerare prima di tutto dal punto di vista psicopatologico. Però ho voluto anche rilevarne l’aspetto storico, perché ne viene fuori che è principalmente la donna occidentale ad esserne affetta. Nel libro c’è un’appendice epidemiologica molto importante da cui si individua come l’anoressia parta dagli Stati Uniti e giunga fino in Europa, in Italia. Se si sviluppa in Oriente o nei paesi del terzo mondo, ciò avviene non appena questi paesi vengono in contatto con la nostra cultura.

 

Per quale motivo, secondo lei?

La donna occidentale si è “emancipata” materialmente, ha conquistato un’identità sociale, ma ha perduto qualcosa di molto importante. Nella storia le donne hanno sempre cercato di ribellarsi ad una situazione di oppressione, ma l’hanno fatto sempre male. Se vogliamo, anche questa malattia potrebbe apparire come una forma di ribellione, ma l’errore sta nel ricercare soltanto sul corpo: questa perfezione fisica dell’anoressica che vuole sempre essere magra; questa magrezza che non basta mai; questo cercare nel corpo un ideale che non si raggiungerà, tanto da arrivare a morirne.

 

C’è anche un discorso sociale, dunque?

Sì, ma non le solite storie dei mass-media, il cosiddetto “fenomeno modella”: certo, quest’ultimo è un’esasperazione della magrezza perché la donna proposta dagli stilisti, guarda caso quasi tutti omosessuali, è uno scheletro che cammina e la stessa passerella indica che si cerca una figura che è soltanto fisica… Il mio libro ha un altro taglio ed è il frutto della ricerca che seguo da molti anni nell’Analisi collettiva: parte, infatti, da quando la donna ha cominciato a perdere l’immagine interna e l’irrazionalità. L’avvento del Cristianesimo ha addirittura acutizzato questo aspetto e ha inoltre favorito la distruzione del corpo…

 

Quindi, più che nella società, lei ritiene che le radici della malattia affondino in questo retaggio cattolico: la mortificazione del corpo, l’autoflagellazione di antica memoria…

La cultura cristiana ci propone innanzitutto la martire: ho dedicato un capitolo a quelle donne che hanno cercato di raggiungere un’immagine ideale attraverso il martirio. Come se nella cultura cristiana ci fosse una perversione che attacca proprio il corpo femminile, sede di peccato, sede del Male… Nell’Islam, se vogliamo, nonostante le apparenze, nonostante il fatto che la donna sia meno libera, non c’è questa violenza sottile: la donna viene rinchiusa tra quattro pareti, perché se ne intuisce il pericolo. Ma non c’è l’annullamento dell’immagine femminile che c’è nella cultura cattolica. E soprattutto non c’è il discorso del peccato originale da cui deriva la condanna del desiderio…

 

Stiamo parlando sempre al femminile. In effetti, nove su dieci malati di anoressia sono donne. Come mai?

Esiste anche l’uomo anoressico: il più delle volte è omosessuale, perché l’anoressia è una forma di omosessualità, nel senso di carenza di sessualità. Ma fondamentalmente è una malattia della donna. Il desiderio, la ricettività, il lasciarsi andare sono qualità dell’immagine femminile e in questa patologia, che chiameremo perciò “malattia del desiderio”, vengono invece considerati debolezze. Non a caso le ragazze si ammalano intorno alla pubertà, quando comincia a crescere il seno, quando cominciano a vedere che il corpo si sta trasformando e diventa un corpo che può essere desiderabile. È lì che viene la follia che le porta a negare proprio la sessualità! Tanto che se un terapeuta porta questa ragazza a cercare il rapporto fisico con un uomo, a riuscire ad accettare il rapporto con l’altro sesso, lei comincia a deprimersi.

 

E questo è un miglioramento?

Certo! L’anoressia è una difesa dalla depressione, perciò se va in crisi il controllo ossessivo di tutto, questo dominio totale delle emozioni, arriva lo stato depressivo. Il controllo dei rapporti umani è l’esatto contrario di ciò che noi andiamo favorendo nei pazienti: cioè il lasciarsi andare, perdere la testa. Se si riesce a far accettare la depressione che ne consegue, si va verso la guarigione… C’era una ragazza tra le mie pazienti che pesava 36 chili: per farla ingrassare due chili, ho dovuto affrontare una sua gravissima depressione. E ho dovuto farle accettare questa cosa piano piano, dicendole “guarda che è importante che tu regga questa depressione”. Ogni chilo in più era una crisi depressiva! Quand’era magrissima diceva di essere “leggera, leggera come un palloncino che vola”, ma apparentemente si sentiva bene…

 

A parte il primo caso clinico, sono direttamente le sue pazienti a riferire la loro storia. I racconti hanno però una caratteristica singolare: ciò che emerge è il rapporto con il terapeuta, piuttosto che lo sfogo… solitario.

La “storia di Sandra” è l’unico caso raccontato da me, perché è quello tipico di una terapia individuale e ne spiega il metodo: serve per mettere l’accento su quanto l’interpretazione dei sogni sia fondamentale… Negli altri casi, invece, è evidente il percorso di cura e la separazione totale dei pazienti dallo psichiatra, una volta che sono guariti. Raccontano della dialettica intercorsa con me e con i seminari, perché loro comunque sapevano dei seminari di Analisi collettiva e vi si rapportavano. Il loro movimento, direi, c’è stato proprio perché si dovevano dinamizzare nei confronti di una realtà molto bella, molto sana.

 

Per lei è naturale parlare di cura e di guarigione. Un’idea che, insieme alla prassi dell’interpretazione dei sogni, deriva dall’originalissima teoria di Massimo Fagioli…

Direi proprio di sì. La gente pensa che dalle malattie mentali non si esca mai… L’altro giorno è arrivata una ragazza che ha letto il libro ed ha trovato il mio telefono sull’elenco: mi ha raccontato che già per due anni aveva provato una terapia che non era servita a niente, poi aveva cercato ancora e un altro psichiatra le ha prescritto la Fluoxetina, uno psicofarmaco: la ragazza ha diciotto anni! Quindi, capisce quant’è importante mostrare il percorso di cura, in maniera precisa, senza dubbi? Dire cioè “la psicoterapia è questa” e non altre che vengono contrabbandate come tali! I casi illustrati dimostrano una possibilità concreta. E l’idea di farli scrivere direttamente alle pazienti è nata da un pensiero: una ragazza che sta male forse potrebbe sentire lo psichiatra che scrive distante da lei, ma se legge una storia simile alla sua vi si può identificare e quindi sentire che è possibile uscire dal tunnel…

 

Cosa risponde a chi sostiene l’origine genetica dell’anoressia

In psichiatria si ricorre sempre all’origine genetica quando non si comprende una patologia. Ed è come se si annullasse completamente il primo anno di vita, nel quale, ormai sappiamo, si struttura la realtà mentale degli esseri umani. Per cui se il primo anno di vita è andato male è chiaro che uno può diventare schizofrenico e comunque è una persona a rischio di malattie mentali…

 

Il discorso di recuperare la nascita, il primo anno di vita… Anche questo fa parte della teoria di Fagioli.

Sì. La nostra cura della malattia mentale mira a far recuperare la vitalità, la nascita, l’immagine interna per poi portare il paziente a dinamizzare la nascita nei rapporti interumani.

 

Che significa, nella cura dell’anoressia, dinamizzare la nascita ritrovata?

Il fatto che ci sia una pletora di anoressiche e bulimiche, ci dice qualche cosa. Nei secoli passati ci sono state le streghe che venivano bruciate dall’Inquisizione, una storia di preti… Nel Settecento, con l’Illuminismo, le donne venivano considerate stupide e quindi innocue… Nell’Ottocento si ammalavano di isteria… Ecco perché è importante fare la storia! Oggi abbiamo le anoressiche: perché? Come dicevamo all’inizio dobbiamo pensare ad un problema nel rapporto uomo-donna, in cui la donna si ammala. Ogni caso è diverso: ci sono delle anoressiche in cui effettivamente la nascita è compromessa gravemente, e sono le forme limite, che necessitano molti anni di terapia; altre invece sono delle depresse che, ben curate, ne escono fuori in tempi non lunghi. Ma in ogni caso è importante la cura. Dinamizzare la nascita significa portarle al rapporto con il diverso da sé, significa far recuperare quella capacità tutta umana di rapportarsi, in maniera creativa, con l’altro sesso. È lì che si comincia a vedere la guarigione!

 

(Nuova Agenzia Radicale, 14/05/04)© Paolo Izzo

 

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