Caro Kundera, ma gli eroi sono tutti figli!

 

Credo di non aver mai perso nemmeno una parola di quelle scritte da Milan Kundera. E non potevano quindi sfuggirmi le sue osservazioni su «la Repubblica» di ieri.

È quasi vero: gli eroi (o anti-eroi) dei romanzi non hanno figli. Se si tolgono, appunto, certe saghe latino-americane (a modello Marquez, Allende, Amado, etc…) e…italo-americane, aggiungerei.

Ma è vera anche un’altra questione: molti di quegli eroi sono figli, e ce lo fanno pesare oltremodo! Nel senso che è evidente, in tanti romanzi, il rapporto dei protagonisti, mancato o morboso, latente o manifesto, con i loro genitori.

Così, di getto, penso a gran parte dell’opera di Philip Roth, a John Fante, all’Henry Roth del bellissimo Chiamalo sonno, a Paul Auster, persino al George Simenon di La neve era sporca, che leggo per la prima volta in questi giorni. Oppure ai minimalisti americani (Leavitt, Easton Ellis, McInerney), tutti a covare e a narrare rancori filiali; ai nostrani cannibali e cannibalesse, infestati di madri da uccidere e padri coglioni.

E i turbamenti di MusilTorless non venivano proprio da lì? E quelli della giovane Ada, firmata Nabokov? Insomma, senza andare a scomodare gli autori i cui protagonisti siano direttamente dei bambini, con o senza genitori (Dickens, Harper Lee sono i primi che mi vengono in mente), non si può rovesciare la questione abbastanza facilmente e dire che se i nostri eroi non hanno figli è proprio perché sono troppo figli loro stessi?

Forse la procreazione non è così invisa ai romanzieri e il problema è solo dove collocarla! Non metterla proprio, sarebbe davvero narrare la storia di un individuo con il rischio, semmai, di rappresentare un solitario, un asociale; ma inserirla a priori, come luogo di provenienza del protagonista e lasciarla latente in tutto lo sviluppo della storia, genera un nuovo teorema: abbiamo degli individui castrati, rabbiosi, perdenti perché hanno poca identità, non sono “svezzati”.

Se ha ragione, infine, Milan Kundera nel dire che gli eroi dei romanzi procreano raramente, è proprio perché si tratta  perlopiù di vittime di un individualismo fine a se stesso, non evoluto.

La soluzione è forse possibile se riusciamo a creare per le nostre storie un Eroe, ben separato da chi lo generò, che sia quindi in grado di fare un figlio, di farne una realizzazione, di dare la vita a un eroe nuovo, indipendente, libero da ogni identificazione.

Io ci ho provato con un romanzo che si chiamerà Il dentro del suono. Se un editore vorrà pubblicarlo, questo dibattito potrebbe avere un seguito…

 

 

(Nuova Agenzia Radicale, 20/06/01)© Paolo Izzo

 

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