La trasformazione del reale
Cessato il chiasso del festival del cinema di Venezia, sempre più
somigliante a quello della canzone di Sanremo, con tanto di dopo-festival tra Chiambretti e Marzulli, lontani
il cupo Monicelli e l’esaltato Accorsi, che con le
loro affermazioni da giurati hanno rosicchiato una
piccola dose di riflettori; ora che Buongiorno, notte l’ho visto e
rivisto, meditato, sentito, voglio fare ancora una breve riflessione su questo
magnifico film di Marco Bellocchio.
Mi guarderò bene dal seguire la traccia suggerita dai fatti, dai
terribili fatti su cui il film è basato. Lascio volentieri l’onere a quanti
sentono di dover espiare una antica complicità
ideologica con le Brigate rosse o giustificare un’indifferenza venticinquennale.
Perché, forse, ho visto un altro film. Quello che c’è dietro ad una storia che rassomiglia a un fatto vero… Ho visto una lacrima sospesa tra le ciglia
di Maya Sansa quando, con la schiena appoggiata al nascondiglio di Roberto Herlitzka, ascolta la voce del prigioniero. Ho sentito le
musiche che hanno accompagnato spinelli e amplessi di due generazioni, condurre
lettere di condannati a morte. Ho visto il primo piano di un neonato mentre
sullo sfondo sfuocato si consuma una tragedia e l’immagine di
uomo osservato, controllato, spiato attraverso una fessura… Né mi viene
da chiamare i bravissimi attori con i nomi dei personaggi che interpretano,
perché non gli somigliano affatto: vorrei trovare altri nomi ancora, indicarli
come la Mora, il Padre, il Ragazzo... Perché non c’è solamente la controversa
figura di Moro dietro i movimenti e le espressioni di Herlitzka,
non c’è la vera Braghetti tra gli sguardi e i sogni
della Sansa. Ci sono, ma non ci sono. E quando ci
sono, sono migliori. Più sani.
È come il discorso politico: c’è, ma non c’è. Si può discutere per
giorni, per settimane della valenza socio-politica di questo film, con tavole
rotonde, botta e risposta sui quotidiani, interviste in cui il regista afferma
di essersi ispirato al libro di una terrorista. Tutto benissimo, ma ciò che
rimarrà con persistente intensità di questa bellissima
opera è la rappresentazione di un mondo di rapporti interumani, il movimento
dei personaggi e il loro sentire. Al di là del
racconto di due universi che vengono a contatto, al di là della religiosità
bigotta di Moro contrapposta a quella “integralista” dei brigatisti, al di là
di uno sfondo reale, impresso a malapena sulla pellicola, c’è un andamento
irrazionale, un percorso inconscio che sostiene tutto il film. Più reale del
reale, però. Che diventa evidente, abbacinante nella
sequenza di Herlitzka stretto in un nero cappotto che
cammina per le strade di una Roma assonnata e appena umida di pioggia, dove fa
capolino una bandiera della pace. Quell’uomo libero, che sembrerebbe sul punto di fischiettare l’aria di Schubert che accompagna i suoi passi quasi saltellati; quell’uomo non può essere Aldo Moro, lo sappiamo benissimo.
Bellocchio, a voler esagerare, poteva persino evitare di ricordarci come sia andata davvero a finire. E
lasciarci con l’idea che da “Moro”, dalla sua borsa, abbia rubato soltanto la
bozza di una sceneggiatura. Per poi trasformarla, a modo suo.
Il regista di Diavolo in corpo e de L’ora di religione,
il ribelle e il contestatore, l’artista che va ai seminari di Massimo Fagioli,
continua a regalarci film straordinari; con Buongiorno, notte Marco
Bellocchio ha vinto un bellissimo premio: emozionare milioni di spettatori con
le sue immagini. Che ci rimarranno dentro. A lungo.
(21/09/03)©
Paolo Izzo
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