Penne graffianti
crescono
Intervista a Giulia Belloni
Intemperanti e senza maestri: diciotto scrittori esordienti si incontrano a Meridiano Zero. L’editore padovano Marco
Vicentini e la curatrice del progetto Giulia Belloni
scommettono sui giovani talenti
Si leggono
tutti d’un fiato, con i muscoli della nuca belli tesi e
a volte l’ansia di girare pagina, sicuri che succederà qualcosa di terribile.
Ma raccontano la realtà, il presente: storie che potrebbero riguardare il
vicino di casa o il collega d’ufficio… Sono Gli intemperanti, la nuova sfida
letteraria di Meridiano Zero: un’antologia di racconti di autrici
e autori senza peli sulla lingua e una omonima collana di romanzi, altrettanto
spietati (Lola Motel di Marco Archetti è il primo della serie, provare per
credere). Abbiamo intervistato Giulia Belloni,
infaticabile curatrice del progetto e vera talent-scout per i giovani
scrittori.
Ci sono tante donne
quanti uomini, nel primo gruppo di Intemperanti. È una
scelta felice e singolare...
«Tocchi un tasto molto interessante, che tra i tanti articoli è stato rilevato
soltanto da un altro scrittore… Purtroppo in queste antologie c’è di solito una
scarsissima presenza femminile e le donne, quasi sempre,
sono di qualità inferiore rispetto agli uomini».
Nel vostro caso mi
sembra che si equilibrino bene.
«Sì. E alcuni dicono addirittura che qui le
donne hanno la meglio».
Forse perché sono
più spietate dei colleghi maschi! Circola molto pessimismo, molto cinismo, tra
gli Intemperanti in genere. Anche se non sono
paragonabili per brutalità a quell’altra schiera di scrittori
che andavano sotto il nome di Cannibali: mi pare che lì ci fosse una maggiore
gratuità nell’uso della violenza…
«Ci sono reazioni diverse nei confronti degli Intemperanti: c’è chi
sostiene che non si distacchino più di tanto dai Cannibali, da cui invece
vogliono prendere le distanze e c’è all’opposto chi ritiene che si debba porre
l’attenzione proprio sulle differenze. Secondo me non c’è alcun punto di
contatto tra i due fenomeni. Prendo ad esempio la storia di Sara Beltrame, che
non a caso ho messo come prima dell’antologia: il suo
“Donna alla finestra” è un racconto sul vuoto, sulla denuncia di questo vuoto
che c’è nella violenza… Al contrario i Cannibali facevano della violenza il
loro cavallo di battaglia: mi ricordo quando Daniele Brolli,
nell’introduzione a Gioventù cannibale, specificava come la caratteristica osé
dei Cannibali fosse proprio il loro coraggio di scollegare la violenza dalla
causa. La violenza per la violenza, dunque, fino ad arrivare ai livelli cui assistiamo oggi, che sono cresciuti esponenzialmente… Credo
che gli Intemperanti siano lontanissimi da tutto questo: vi si legge tristezza,
depressione, orfanitudine esistenziale. Quando c’è violenza c’è anche una causa, un perché».
Hai detto del
vuoto. La cosiddetta “normalità” che cela questa indifferenza
e da cui si evade con un gesto violento, malato mi viene da dire, è una
tematica cara ai vostri giovani autori. Penso ai racconti di Marco Archetti,
Marta Pastorino, Paola Presciuttini,
Alberto Milazzo…
«Sì. Ma il loro è un voler porsi domande su
ciò che determina questa fuga dal normale. Un normale in cui entriamo
per rassicurarci, per riscaldarci, ma da cui spesso ci sentiamo soffocati e da
cui usciamo con gesti più o meno eclatanti, che spezzano quell’ordine
che in un certo senso ci deprime… C’è molto questa idea dell’evasione, come la
chiami tu: un main stream
percorso fino a un certo punto, da cui ci si distacca all’improvviso. Questo fa
anche parte della struttura del racconto in genere: nel racconto si vince per knock out, non ai punti! Ad un tratto ci deve
essere il colpo di scena, diciamo così…».
In un’antologia di
racconti, la disposizione delle storie conta molto. Da una parte abbiamo detto
dell’alternarsi di donne e di uomini, dall’altra è
interessante notare come una serie di racconti “forti” sia ben intercalata da
afflati di speranza. Non mancano Intemperanti ottimisti, insomma, che cercano
un aggancio con situazioni più sane: Maristella Bonomo, Michele Vaccari, Valentina Reginelli…
«Aggiungerei il racconto di Marta Franchi,
“Sproloqui minori”. Anche quello mi pare rientrare nell’ottica
di cui parli tu. Certo, il racconto della Bonomo è
sicuramente uno dei più caldi, con quella scena finale che un po’ tutti abbiamo
vissuto, del recuperare un personaggio che appartiene al nostro passato e
vederlo diverso… Una cosa che un pochino ci turba sempre».
Alessandro Gelso
parla di un durissimo rapporto tra sorelle, invece. Per Davide Cavagnero il tema è un rapporto in crisi, con un finale
molto intenso. E Cinzia Bomoll
ci fa rivivere la strage di Bologna da un’altra prospettiva. Lasciano spesso
spiazzati, questi nuovi narratori: è lo spostamento del punto vista che molti
vi riconoscono…
«Data una realtà che non si può cambiare, guardarla da un’altra
prospettiva diventa obbligatorio. Qualcosa è cambiato: ecco il senso che volevo dare nel raccogliere i racconti e nel raccoglierli in
questo modo. Gli orecchini che si fermano nel racconto di Cavagnero,
la sala giochi “Galassia” di Francesca Genti con la sedia elettrica dove si può
“morire” quando si vuole… Ecco l’intento: rendere chiara la necessità di
spostare il punto di vista, di far cambiare uno stato di cose, dando
testimonianza di ciò che quelle cose ha reso così… Altrimenti sono parole in
libertà, come quelle del barbiere di Angelo Formica:
lì è evidente come non sia nemmeno più una scelta mettere qualcuno a parte
della propria intimità, ma uno scaricarla addosso agli altri come se si stesse
starnutendo!».
In un’intervista
per Railibro ho letto un tuo atto di
accusa nei confronti degli intellettuali italiani: anche loro, ammesso
che parlino, finiscono per parlarsi addosso?
«Agli intellettuali italiani o non importa minimamente delle cose della
società e quindi non entrano in gioco, oppure se vi entrano lo fanno con
operazioni auto-glorificanti, cioè costruendo dei
grandissimi vittoriali sulla loro persona più che
volendo intervenire a livello dialogico con le generazioni giovani oppure con
quelli che eventualmente volessero emularli. Non c’è
contatto, non c’è dialogo. In questo senso la nostra generazione è senza
maestri: non c’è più una figura alla Tondelli, che ha
più numeri di te e ti incita a correre più forte. È una figura che è sfumata e
questo è un colpo basso, perché genera uno spaesamento
in chi è alla ricerca di maestri, di punti di riferimento».
Anche se si
rivolgono l’un l’altro sembra non esserci un gran
dialogo, perché è come se non si ascoltassero…
«Sì. E ad un tale livello che quando questo
dialogo arriva, che sia col panettiere, con una donna incontrata per la strada
o col giornalista, lascia quasi una vena di turbamento. Si è
talmente disabituati… Ognuno traccia il proprio resoconto e basta! Non
c’è più l’amplesso dialogico e questo crea una solitudine spaventosa».
Gli Intemperanti
tra loro si parlano?
«Sì. Anche se non era detto che ciò avvenisse.
Tra loro si parlano e si leggono. E non è poco».
(Zefiro, 19/05/04)© Paolo Izzo
Movimenti letterari:
arrivano gli Intemperanti!
Intervista a Giulia Belloni
Un’antologia di racconti e una collana che
portano lo stesso nome. Come a dire
una dichiarazione di intenti ma anche un manifesto
letterario. A lanciare l’idea de “Gli intemperanti” è Meridiano Zero, una
piccola e ardita casa editrice di Padova. Che affida a diciotto giovani autori
(in ordine di apparizione: Sara Beltrame, Alessandro
Gelso, Paola Presciuttini, Angelo Formica, Cinzia Bomoll, Michele Vaccari, Paola
Caldera, Emiliano Ereddia, Valentina Reginelli, Marco Peano,
Maristella Bonomo, Franco Dipietro, Marta Pastorino, Marco Archetti, Marta Franchi, Davide Cavagnero, Francesca Genti, Alberto Milazzo) il compito di
tratteggiare il presente, con gli occhi e la penna di una generazione cresciuta
senza maestri. E così, in un esemplare alternarsi di voci femminili e maschili,
arrivano coppie in crisi, bambini spietati, serial killer, amiche alle prime
esperienze amorose, ignari animali trasformati in capri espiatori; e ancora, la
bambina resa orfana dalla bomba alla stazione di Bologna, l’uomo tranquillo
dalla doppia vita, la donna nuda alla finestra e il barbiere logorroico…
Storie di tutti i giorni, si potrebbe dire, in cui prevale una sensazione di
amarezza, quando non di depressione vera e propria, pur non mancando i
tentativi di portare un po’ di speranza in un’attualità affatto grigia. Il tutto rigorosamente raccontato senza mezzi termini; con cinismo
e intemperanza, appunto. E qui sta la vera novità: muta il linguaggio,
cambia la prospettiva, il lettore viene spiazzato in
continuazione… Abbiamo intervistato la curatrice del progetto, Giulia Belloni, che non ha dubbi:
«Qualcosa è
cambiato: ecco il senso che volevo dare nel
raccogliere i racconti e nel raccoglierli in questo modo. Rendere
evidente la necessità di spostare il punto di vista, di cambiare lo stato delle
cose, dando testimonianza di ciò che le ha fatte diventare così».
Ricevuti con molto entusiasmo dalla stampa,
con recensioni e interviste sui maggiori quotidiani nazionali, sulle radio e le
televisioni Rai, “Gli intemperanti” sembrano destinati ad un notevole successo
di critica. E i lettori come vi hanno accolto?
«Per una casa
editrice piccola come la nostra, abbiamo avuto delle vendite altissime. Dopo la
prima edizione di 2500 copie, che è già una bella tiratura, ne
è uscita una seconda dopo soli undici giorni. Quindi è un esordio
fortunato da tutti e due i punti di vista: sia come
visibilità per la casa editrice, sia come vendite. Lo stesso sito di Meridiano
Zero in un mese e mezzo ha registrato il massimo accesso da otto anni a questa
parte».
Ricordiamolo, questo sito: www.meridianozero.it.
Lì gli Intemperanti si possono vedere anche in faccia, con una vera galleria
fotografica dedicata ai giovani scrittori che compongono
il gruppo…
«Quella idea fa parte della volontà di creare un canale di
vero “scoutismo”, che in Italia quasi non esiste. I grossi editori, al
contrario, mettono sul sito messaggi lampeggianti con
cui pregano di non mandare manoscritti; e anche i piccoli e i medi pubblicano
fondamentalmente per passaggi di mano, appoggi, segnalazioni».
Perché secondo te?
«Perché costa
molto tempo fare questo tipo di scavo: per trovare qualcosa di valido devi leggerti una quantità incredibile di racconti.
Personalmente avrò letto più di mille racconti per selezionare i diciotto
contenuti nell’antologia».
Continuerete con lo stesso entusiasmo anche in
vista del probabile successo della casa editrice?
«Certo! Da
quando è partito il progetto ed è andato bene, gli arrivi sono ovviamente
decuplicati; ma c’è comunque un gruppo di redattori
che legge e che mi passa i testi già schedati. Io continuo a vederli tutti! E’
difficile che mi scappi qualcosa, oltre al fatto che un libro di qualità salta
sul tavolo, cioè si muove quasi da solo, come dice
giustamente una nostra traduttrice… Se si dedica tempo e denaro a questo fine,
arrivano le cose interessanti. C’è tutto un movimento di aspiranti
scrittori che ci provano…».
Vi candidate ad essere un punto di
riferimento?
«Un altro
problema gravissimo della scrittura è quello della solitudine: persino gli scrittori
affermati non hanno contatto con il loro pubblico e tanto meno con il loro
editore, se non per firmare l’ennesimo contratto e per pubblicare l’ennesimo
libro… Noi restiamo molto in contatto con gli autori; gli autori ci presentano
altri scrittori. C’è una rete, insomma».
E
anche l’intento di fare una piccola rivoluzione…
«Diciamo un
gioco. Un gioco con i testi: perché ci sono molte persone che mandano i loro
scritti non solo a fini di pubblicazione… E’ un lavoro che mi viene da chiamare
“artigianale”, cioè da fucina popolare della
scrittura; che quindi lega i veri appassionati, cui questo gioco piace».
Ne viene fuori una ricerca sulla
sperimentazione letteraria, un desiderio comune di rendere visibile
l’invisibile.
«Altrove ho
detto di una trasgressione moderata, per definire questa specie di proposta
intellettuale di cambiamento, di spostamento del punto di
vista. E’ innegabile che siano sempre più diffusi sentimenti come la noia e
l’indifferenza, soprattutto nella generazione dei trentenni: di fronte a questo
stato generale di “appisolamento”, di depressione
grave, c’è il risorgere di un gioco che è quello di guardare le cose da un
altro punto di vista… Che secondo me è un po’ il gioco
della letteratura. Chi si vuole cimentare in questo tipo di proposta, si
ritrova in progetti come “Gli intemperanti”».
(Nuova Agenzia
Radicale, 27/04/04)©
Paolo Izzo
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