AGORA,
cronaca annunciata della morte di una donna
Alessandria
d’Egitto, fine IV secolo d. C., la piazza del Serapeo
trasformata in un formicaio brulicante di figure nere impazzite: con questa immagine
dall’alto, aerea, quasi satellitare, il regista Alejandro
Amenábar ci rivela il significato più profondo del
suo “Agora”. Uomini piccoli come insetti che devastano la Biblioteca
alessandrina, distruggono ogni sapere e si uccidono tra loro, in un pianeta che
diventa sempre più bello… man mano che ce ne si
allontana. Quando il silenzio cresce. Quando la mente
non è più affollata da astratte dispute su presunti dèi, ma
torna a pensare senza credere. La mente di Ipazia, le
sue idee, erano lì: lontane dal mondo delle formiche nere, in tenace,
meravigliata osservazione di stelle erranti e movimenti rotazioni rivoluzioni.
Sogno di bambina, sete di conoscenza di donna.
Questo
il significato del film che finalmente (23 aprile) arriva in Italia, con un grave,
sospetto ritardo: in nome delle religioni, dai secoli dei secoli, l’eccidio è
la norma per imporre un dogma; il pensiero religioso sull’anima, da due
millenni, si realizza nella strage dei corpi. E delle menti.
Eppure, oltre il
significato, nel profondo, si trova sempre un senso, a voler cercarlo. Quel
senso che forse è al di là dei cinque sensi della
veglia, oltre la ragione. E il senso del film su Ipazia, il senso del perché
qui in Italia, qui in Vaticano, non si deve sapere la storia di
Ipazia, va oltre la teologia e la sua brutalità, va oltre la violenza
delle religioni tutte. Perché è l’immagine e l’identità di
una donna, il vero centro di quella storia. Una donna bella e
intelligente. Circondata da uomini. Irrazionale, testa tra le stelle per
scoprire il cielo e piedi nudi sulla terra per saperne il moto, Ipazia è
accerchiata da uomini: il padre Teone, che dice di
amarla; i discepoli Oreste e Sinesio, che dicono di
amarla; lo schiavo Davo, che dice di amarla. Poi ci sono quelli che la odiano palesemente, dal sanguinario
vescovo Cirillo (oggi santo della chiesa cattolica!) ai “parabolani”,
braccio armato dell’amore cristiano (e il parallelo con gli odierni basij iraniani è
d’obbligo); dai dignitari dell’Impero fino al popolo sottomesso di volta in
volta a questo o a quel “leader”; dai pagani agli ebrei. Tutti insieme, con amore, per amore, uccidono Ipazia. Perché donna, identità e immagine, bellezza e sapienza. Libertà
e indipendenza. E non si limitano a ucciderla, tutti
quegli uomini “innamorati”, ma consentono anche che altri la facciano a pezzi,
le cavino gli occhi, distruggano le sue invenzioni, brucino i suoi studi. In
un’alleanza mostruosa di fede e ragione, la annullano, senza che ne possa
rimanere traccia.
Ma una traccia,
come il senso, rimane sempre, a voler cercarla. E ad Amenábar
va riconosciuto il grandissimo merito di averla
trovata e di averle dato… un senso. Per ringraziarlo andiamo a vedere il suo “Agora” ma poi, uscendo dalla sala, dedichiamo un pensiero
alle donne belle e intelligenti, irrazionalità e fantasia, che a più di sedici
secoli dalla morte di Ipazia, continuano a essere uccise di annullamento, da
uomini che le odiano. E da uomini che dicono di amarle.
(02/04/10)© Paolo Izzo
Torna a Recensioni